Dove attaccato, anche da forze locali, poco
organizzate e equipaggiate, l’Is recede. È una tigre di carta. Che ha prodotto e produce danni enormi. E
dunque, può – vuole – l’America ancora difenderci? Quella di Obama come quella
dei Clinton, o se sarà di Trump?
Forse con le armi atomiche sì. Ma nessuno ci
minaccia con le atomiche. Anzi, per lo più ci minacciamo da noi stessi: dopo la
fine della guerra fredda, o dopo la riunificazione tedesca che è la stessa
cosa, non siamo più l’Europa del dopoguerra, unita e consapevole: trappole di
ogni genere armiamo al coperto delle ambiguità.
Ma l’Europa non conta, è sempre stata
litigiosa – chi la evoca come un eden di ricerca e poesia trucca le carte. Quello
che conta è che l’America non ci protegge più. Su tutti i fronti che ha aperto
vicino a noi e per noi non fa che perdere: Afghanistan, Iraq, Siria, Libia,
forse anche l’Iran dell’accordo nucleare. Sfidata da niente: dal disordine,
dalla confusione, dal fanatismo, di mezzi anche limitati, limitatissimi,
malgrado la favola dell’autofinanziamento con l’esportazione di greggio. In
Georgia e Ucraina pure. Come già nell’ex Jugoslavia – ha vinto la guerra contro
la Serbia, ma a che prezzo.
Si può anche dire che gli Stati Uniti non sanno proteggere nemmeno se stessi, dalle Torri Gemelle a Orlando, e dunque. Ma Washington ha ancora la moral suasion, del mezzo secolo in cui ha tenuto duro nella guerra
fredda. E ha l’Asia, con cui invece dialoga, seppure tra i contrasti, e
costruisce: la Cina, il Giappone, le “tigri”. Lì sa dialogare - forse per avere controparti serie. E non fa guerre tanto per farle - a malincuore, disastrose.
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