Un com’eravamo. Dai
sussidiari degli anni 1950-1960, quando a scuola c’era ancora la maestra
vice-mamma, le poesiole che vi si insegnavano. Un patrimonio ideologico ben preciso, arguisce
Manni, che lo ritrova anche dichiarato, nelle sezioni dei sussidiari: Famiglia,
Scuola, Affetti, Religione, Patria, Lavoro, Povertà, Storia, Natura, Giocose.
Da cui inferisce una continuità – una delle tante - della Repubblica col
fascismo: “L’esaltazione dei valori quali religione, patria, famiglia,
conformismo, etica del lavoro, propria del fascismo, prosegue infatti nel
dopoguerra, e il libro di testo si presenta uno strumento di costruzione del
consenso come era avvenuto nel passato”. Se non che Carducci, Pascoli, Leopardi
naturalmente, Manzoni, Foscolo, Belli, Giusti, Cavallotti, De Amicis non c’entrano.
E Palazzeschi, Ungaretti, Sbarbaro, Rilke, Gozzano, Saba, lo stesso D’Annunzio
dei “Pastori”?
L’idea è però
geniale, e la scelta godibile. Piero Dorfles, che introduce la raccolta, dopo
essersi divertito conclude: “Neanche nello scherzo, nel sussidiario del
dopoguerra, si perdeva l’occasione per lanciare duri ammonimenti: studia, sii diligente,
onesto e sincero: solo così diventerai un bravo cittadino. Un po’ schematico.
Ma come messaggio, in fondo, non era poi tanto male”.
Piero Manni, a cura
di, Che dice la pioggerellina di marzo,
Manni, pp. 192 € 16
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