La finanza si
preferisce romanzarla. Col sottinteso che se ne condanna l’avidità, ma poi
contribuendo a spettacolarizzarla – a immortalarla. Bechis, che ci lavora dentro
ogni giorni da qualche decennio, non ci illude. Il piglio “narrativo” non gli
difetta per farcene vedere i congegni nudi e crudi, che sono tutti più o meno
truffaldini. A partire dalla semantica: market rigging, spoofing,
front running, o un confusione di sigle, Cds, Cdo,
Rmbs, etc., fino a Swap, “come ti
cambio le carte in tavola”. Ma questo è vero di tutta la terminologia affaristica,
di cui è quasi vano venire a capo, poiché viene cambiata in continuazione –
come le parole in codice delle mafie.
“Viaggio nella savana della finanza tra prede
e predatori” è il sottotiolo. Senza leoni ma con molte volpi, da clima
temperato. Sembra troppo, soprattutto per un giornalista del settore, che bene
o male ci convive, un eccesso polemico. Ma il fatto è incontestato: nessuno pretende
che non sia vero. Solo che nessuno ci mette mano. Bechis non propone soluzione
perché non solo non si adottano ma non sono nemmeno materia di discussione.
Guadagnare impoverendo
gli altri è sempre stato un brutto mestiere. Per questo tenuto in punta di bastone
e regolato. Oggi è invece mestiere eccellente, “il” mestiere, e del tutto
svincolato, padrone delle coscienze e dei governi. L’esito è noto: la depressione
dell’Occidente. Che però non sa essere altro, all’ombra del free for all.
Franco Bechis, Bestiario di finanza, Castelvecchi, pp.
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