giovedì 7 luglio 2016

A Sud del Sud - il Sud visto da sotto (292)

Giuseppe Leuzzi

 “Se devo sposare un terrone\ che almeno sia un barone”. Non è stato detto? Pensato sicuramente sì. Adesso non usano più, ma per decenni abbiamo avuto libri di memorie di gentildonne del Nord che hanno sposato meridionali – adesso non usa più sposare meridionali, gli immigrati subentrano (oppure non usa più sposare)? Memorie sempre generose, ma: è così che i baroni si sono moltiplicati nel Meridione?.  

“De Reditu”, film di forte impatto emotivo e storico, è girato per il lungo pellegrinaggio in barca  sul litorale jonico della Calabria. Poiché il ritorno di cui al titolo è da Roma verso l’Aquitania, la vecchia Gallia, con la costa tirrenica quindi a destra, se ne deduce che in Calabria si girava il film con l’imbarcazione in discesa verso capo Spartivento. C’è dunque un Sud che può essere Nord, e viceversa.

Grandi controversie dinastiche per il titolo di Duca di Calabria, tra  Borboni. I Borbone di Napoli si sono sposati un paio di generazioni fa con un ramo collaterale dei Borbone di Spagna, facendo espresso atto di rinuncia al trono di Napoli. Ma ora che Carlo di Borbone delle Due Sicilie ha stabilito, in base alla regola della “primogenitura assoluta”, che la sua erede sarà la figlia primogenita, Maria Carolina, i cugini di Spagna rivendicano il diritto, in quanto hanno l’erede maschio. Però. Cioè: una sua centralità il Sud ce l’ha.

La marginalità come privilegio
Simone Leys fa il caso, a proposito del poeta Henri Michaux, suo conterraneo belga, del privilegio della marginalità. Nel caso di Michaux (e, sottinteso, dello stesso Leys) di essere belga nella lingua - e forzatamente la cultura – francese: “Michaux era belga. Non soltanto era belga, ma per di più di Namur – la provincia di una provincia (i Francesi raccontano barzellette belghe, i belgi raccontano barzellette namuresi)”. È da qui, da questa estrema “insularità”, che non è isolamento, che il poeta ha preso l’avvio per la sua incomparabile esperienza di poeta multitudinario, e viaggiatore.
Lo stesso si può dire di Borges. Letterato cosmopolita se mai ce n’è stato uno, solidamente impiantato nella coscienza del mondo perché radicato in una realtà che amava e in cui si riconosceva, si riconosceva provinciale. E ne faceva vanto: “Uno scrittore nato in un grande paese corre il rischio di presupporre che la cultura della sua patria gli basta. Paradossalmente, è lui che tende a essere così provinciale”.
Lo stesso Cioran – e come lui altri Balcanici emigrati a Parigi o in Germania: “A 20 anni i Balcani non potevano offrirmi più nulla. È il dramma, e anche il vantaggio, di essere nato in uno spazio culturale minore, qualunque. Lo straniero era divenuto il mio dio”.
È quello che qualsiasi intellettuale meridionale sperimenta: il vuoto attorno a sé, e l’automatica elezione dello straniero, del settentrionale, a dio, sia esso stupido, violento, razzista, analfabeta.
È la chiave del “mistero” Alvaro. Che fu italiano frequentando l’Europa più grande, Parigi, Berlino, Mosca. Non da esterno, da corrispondente o inviato di giornali tanto “per fare fatture”, ma in vario modo partecipe e corrivo – le sue corrispondenze si leggono ancora con interesse. E in Italia era un meridionale, e anzi un calabrese, anzi uno d San Luca – marchiato dai racconti che gli diedero fama, “Gente in Aspromonte”.
Una chiave che funziona ben prima dei vent’anni, non ci sono esperienze al Sud che si possano tesaurizzare. La riserva di creatività resta allora intatta, oltre che acuita?
Come può funzionare in positivo la marginalità? “Al fondo della marginalità c’è la coscienza diffusa di una mancanza”, nota Leys. A partire dalla lingua – “nell’uso del francese i belgi sono tarlati dall’incertezza”, figurarsi i meridionali con l’italiano.

Milano
Esterofila, tedeschizzante, antitaliana. Si legge il “Corriere della sera” chiedendosi a ogni pagina: ma dove siamo? Cje si tratti di economia, cioè di sopravvivenza, di progetti politici, di sport, di automobili.
Ma perché Milano si vuole la capitale d’Italia, che disprezza, e ogni giorno abbatte?

La mafia aggredisce Milano, come no, Anzi, naturalmente, si era impadronita dell’Expo. Spedendo in Sicilia nientedimeno che mezzo milione di euro, in contanti, esentasse quindi, opera magari di sovrafatturazioni, che trasferiva in un camion. Questo la città annuncia in pompa magna e vuole credere.
Senza colpa dei dirigenti Expo naturalmente, si sa che la mafia è traditrice. Dice che non è mafia, al punto che le autorità ci credono, quelle che danno  i certificati antimafia.
Senza senso del ridicolo nemmeno. Si tratta di 500 mila euro, non di 500 milioni, ma si sa che i meridionali, la mafia è meridionali, non sanno il valore del denaro.
Questo non c’è bisogno di dirlo, si sa.

Non vi si può passeggiare. Anche solo per l’igiene. Prendere l’aria. Figurarsi oziare. Non s’incontra nessuno e comunque siete guardato male.

Dentro, però, l’attività langue. Operosa, affaccendata, ma inerte, la produttività è prossima a zero – efficienti sono solo le segretarie. Avendo lavorato in tre distinte aziende con sedi a Milano e a Roma, la differenza di produttività si può dire abissale.
 .
Il governo progetta due no tax area, di libero scambio, una a Milano nell’area, e una a Bagnoli. Per attrarre i capitali in deflusso da Londra dopo il Brexit  precisa. In realtà per far passare il progetto, che era stato individuato per Bagnoli. Milano non dà nulla, vuole tutto per sé.

Come può candidarsi Milano a sostituire Londra cime centro direzionale europeo per le multinazionali extraeuropee, banche e aziende, a fronte di Dublino, dove si parla anche inglese, e non si pagano tasse, o di Berlino e Parigi, tanto più centrali? Ma basta dirlo, e ci dobbiamo credere.

Berlusconi si sarebbe  tenuto Brocchi, taccagno. Arrivano i cinesi e impongono Montella almeno un po’ di spettacolo. E magari il Milan farà meglio: la capitale economica e morale dell’Italia a scuola dei cinesi.

Per alcuni mesi la più grande Banca milanese e d’Italia, o la seconda più grande, Unicredit, non ha un management. Senza scandalo. Fosse capitato alla banca dell’Irpinia, se ne c’è ancora una dopo il domino ambrosiano?

Milano non sarà invidiosa? Si voleva frou-frou, la Milano di Camilla Cederna che pii si fece “da bere”. Ma è visibilmente incapace di guidare l’Italia, come pretende da un trentina d’anni. Avendo liquidato Torino, e l’industria, ci tenta da allora con Roma. Ma non ha dato né suggerito niente di meglio, solo astio: il terrorismo, il leghismo (che è razzismo, il localismo è di tutti, per primo dei meridionali), e Berlusconi pure, che ha tentato di arginare i guasti del leghismo e dell’ (inutile) neo fascismo.

Superficialità? No, invidia. Un evento minimo del più remoto paesello della Calabria, ci scatena sopra il “Corrierone” coi suoi pezzi da novanta. La più minuta stupidaggine comunale di Sardegna? La più futile alzata d’ingegno napoletana? Non lascia passare nulla. Chiudendo un occhio e anzi tutt’e due sulla capitale del latrocinio, dell’inquinamento, delle esondazioni, della droga, che è Milano stessa. Dove si rubano i patrimoni e anche gli interessi. E non si depurano le acque.

leuzzi@antiit.eu 

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