La
provetta di Schwazer è stata manomessa? Venendo l’accusa da lui c’è da
dubitare. Ma dal suo trainer-manager Donati
no, vero uomo dell’antidoping. Anzi: perché non dovrebbe – non dovrebbe
essere stata manomessa? La Iaaf, l’agenzia che governa l’antidoping, è un
centro di malaffare noto. E perché i laboratori su cui si poggia dovrebbero
essere meglio?
Succede
dell’antidoping come di tutte le iniziative a difesa dell’integrità (lealtà,
onestà), che diventano comodi ombrelli degli affari, se poco poco non sono
divorati dal sacro fuoco. È anche inevitabile: le rivoluzioni sono solo
cambiamenti di regime, a meno di un rivolgimento continuo. Ma la questione non
è di procedura filosofica: è che l’antidoping è un business, non altro: la Iaaf
è business, la Wada è business per definizione, i suoi laboratori collaboratori
un business.
La
procedura di un prelievo antidoping come quello di Schwazer, in un villaggio
remoto del Tirolo, è costosa, fra gli 8
e i 10 mila euro, fra viaggi, diarie, personale specalizzato, materiali, e
spese generaeli (amministrative, tecniche). Se ne spendano tre-quattrocento, o
anche meno (un medico locale disoccupato per il prelievo, un invio per posta,
al più per corriere, e il business diventa “competitivo”, molto. Tanto più che
l’anti lo garantisce da ogni curiosità, del fisco o del pubblico.
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