Si ride dei due centravanti che, tra balletti e sarcasmi, sono riusciti a non centrare la rete avversaria dal dischetto del rigore. Ma sono la coda di un errore più grande: la squadra dell’allenatore. Dell’allenatore demiurgo, di cui i calciatori sono pedine. Mentre il calcio si gioca in gruppo, è gioco di squadra, e un buon club, come una buona Nazionale, è una squadra. Un gruppo di atleti che giocano da tempo insieme, e più che altro a memoria, di istinto.
Va molto ora allenatore risolutivo, anche a caro prezzo – anzi si paga l’allenatore più di qualsiasi atleta. Il piccolo capolavoro di Mourinho all’Inter, benché in parte effetto del caso, ha creato un mito e un culto perniciosi. Ma in Italia era vizio antico: l’allenatore demiurgo risale a Bernardini, che quando ebbe in mano la Nazionale in augurò quelli che ora si chiamano stage. Convocando questo e quello, tra i quali si riservava di scegliere i migliori.
Bernardini fallì. Poi vennero uomini di buonsenso. Ma poi venne Sacchi e il demiurgo s’impose: convocati a valanga, per prove di nessun valore, e tecnico tanto autoritario quanto confuso.
Conte ha moltiplicato questa tendenza, prendendo per buono il messaggi pubblicitario che la Juventus aveva costruito attorno al suo operato – una squadra che in realtà operava bene prima, e ancora meglio dopo di lui. Della sua squadra all’Europepo hanno funzionato bene solo i quattro juventini là dietro, che giocano da una vita insieme. Con l’ausilio dei due romanisti, quando hanno potuto giocare dove sanno giocare. I ballerini che si sono succeduti avanti hanno solo ballato, e più per il peggio, anche se qualche volta con fortuna.
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