Con più verve di
Eco? è presto detto. È pure vero – ci vuole poco. E potrebbe servire, fosse
questo sito autorevole, a promuovere ancora meglio Simoni. Meglio di come viene
promosso dall’editore.
Il libro,
ottimamente stampato, rilegato, sovracopertinato, prezzo popolare, si presenta all’uscita con
una fascetta mirifica: “N° 1 in classifica. Un milione di copie. Tradotto in18
paesi”. Seguita da una quarta più specifica, ma non meno eulogica: “N° 1 in classifica.
Un autore da i milione di copie. Tradotto in 18 paesi. Vincitore del Premio
Bancarella”. Perché, senza offesa per Simoni, che del genere fantastorie è
cultore serio e colto, il meglio del libro è il lancio: un capolavoro. Specie i
tweet dei blurb, i soffietti editoriali, qui soffiati a D’Orrico, Sgarbi, “la
Repubblica”, “la Stampa”.
Un fantagiallo storico. Parte
di uan “Codice Millenarius Saga”. Col
passo del fogliettone, invogliante anche per i più pigri: capitoli di quattro-cinque
pagine, e una promessa di sorpresa all’ultima riga.Tra la peste, i
riti satanici, i riti del potere, e la paura sempre dell’apocalisse, tutti gli eccessi
che il genere vuole, Simoni sa trasportarci indietro, nel 1349, tra Ferrara e
Pomposa, in una società e una storia molto credibili anche se remote. Anzi
propriamente nell’inverno del 1349, Simoni sa caratterizzare anche la natura e
le stagioni. Attorno al solito plot inverosimile
che il genere vuole – e tuttavia credibile, possibile – a differenza appunto di
Eco. Anche se politicamente corretto – cosa che a Eco non si può rimproverare:
i longobardi sono subito “guerrieri ariani”. Ma con cautela: il “Magnificat”
che le suore in convento cantano ai Vespri, o a Compieta?, ha una nota esplicativa – non sappiamo
più quello che siamo.
Marcello Simoni, L’abbazia dei cento inganni, Newton Compton
Group, p. 335, ril., € 9
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