Classe – La biblioteca
di “classe” è sterminata e inutile. In Italia,
ma pure in Francia – per non dire, è da supporre, della Russia stessa che tanto
ce la inflisse. Fu tema prevalente della pubblicistica per trent’anni, fino agli
anni Ottanta inoltrati, ma insignificante subito e di nessuno spessore dopo, se
non deprimente - solo parole, molte, perfino
assurde.
Confine
–
Nel diritto e la politica di Roma è la nozione centrale della vita in comune. All’esterno,
nei riguardi degli amizi\nemici, e all’interno,
tra famiglie e tribù. Romolo traccia una linea di confine, e uccide il suo
proprio fratello perché non la rispetta. La civitas
è dentro i confini, fuori sono barbari. Il ponte in sé è sacrilego, e va esorcizzato
ponendolo sotto l’autorità di un Ponifex: i ponti attraversano il sulcus, il fiume o fossato che traccia
il confine e la difesa della città. L’impero romano soprattutto cura i confini,
con forze imponenti dislocate, guerre costanti per consolidarli, ptremi
consistenti ai cittadini che si stabilivano a difesa. Il rispetto del confine è
il retropensiero di Cesare che deve-vuole attraversare il Rubicone – da cui la
frase famosa “Il dado è rtatto”, cio+ non tormentatemi più.
Oggi si è per la cancellazione
del confine. Con l’effetto però di moltiplicarlo, in figure più spesso non definibili.
Europa
–
Ernst Jünger prima di Jacques Brel ha il “plat
pays qui est le mien”, il “paese piatto” al cuore dell’Europa, ed è ila stessa Europa- in “La
guerra come esperienza interiore” . E se lo figura anche, come un “pascolo”,
benché senza le brume gallo-germane: “L’Europa” immagina “come paese piatto, verde
e erboso, con tante bestie placide là sopra quante ne possono brucare”. Un paese
piatto delle vacche.
Filomena – Il curato d’Ars
le attribuiva i miracoli che egli stesso faceva. Facetamente, poiché la santa
Filomena non esiste. Era la patrona della verginità – che anch’essa non esiste?
Maria
–
Il culto mariano è tardo, dell’epoca delle cattedrali, XII-XIImo secolo, e della
genesi dell’amore cortese.
Roma – Dopo l’Augusto di John
Wilklams, un professore, ripescato peraltro dopo quasi cinquant’anni dalla
pubblicazione, il Cicerone di Robert Harris, “Imperium”. Documentati: Harris è
un romanziere, ma sembra sapere tutto, e non s’inventa trame, sa riusare i
materiali storici, con effetti suspense incandescenti. E appassiona(n)ti. Si fa
la storia di Roma antica ormai solo negli Usa, e in Francia e Inghilterra come residui di una consistentissima tradizione di studi - non più in
Germania, come soleva nell’Ottocento, che solo pensa dopo Bismarck a invidiare
e odiare i vicini. Non in Italia da ottant’anni ormai, con la scusa del fascismo
– ma di che si fa la storia in italia?
Stragi – Avvengono
inspiega-te-bili in Europa mentre l’Europa si commemora neòlla Grande Guerra. Che
però fu quella che tenne a battesimo la “mobilitazione totale”. Senza
compromessi, e per pura scelta di principio. Di anime e corpi insieme. Civile più
che militare, e quasi già religiosa. .
Si ricorderà di Breton l’atto
surreale “assoluto” scendere in strada col revolver carico in pugno e sparare
sulla folla a caso. È la surrealtà degli attentati, che poi si appellano
all’islam e all’Is, in Francia, Belgio e Germania, come già alla metropolitana di
Londra alcuni anni fa. Ma anche di quelli correnti negli Usa e ora in Germania,
di refoulés, o presunti tali, che ”si
vendicano”, degli estranei come dei compagni e vicini, sparando sulla folla a
caso, a scuola, al caffè, all’università, per strada. Iperreali, surreali.
Si moltiplicano gli attentati si
singoli e piccoli gruppi per l’effetto ostensivo, o imitativo. connesso con la
“pubblicità”, o la moltiplicazione dell’evento a opera dei media. Il Califfo
non li organizza, li rivendica, ma è un’altra cosa .tra l’altro li rivendica in
automatico, a opera di qualche suo call center. Si organizzano da soli, tra
giovani sui vent’anni, isolalti o in piccolo gruppo. E si alimentano con spreco
del “precedente”.
Si fa molto l’esempio di Breivik.
Ma il killer norvegese – che si vuole non pentito e anzi si eroicizza – è altra
cosa, sicura in un certo senso, solida, cioè prevedibile: è adepto di Hitler,
come il giovanissimo tedesco di origine persiana che è andato a fare mattanza
di coetanei al McDonald a Monaco, l’“ariano puro”. Qui gioca un’aggravante che
è proceduralmente una premeditazione, e caratterialmente una predestinazione –
è difficile non restare “vittime” di Hitler.
Diverso è il caso dei tanti
giovani degli attentati in Francia e Belgio, e in Germania – come già per l‘attentato
a Londra alla metropolitana. Giovani che s’immolano nell’atto, o subito dopo.
Lo stesso negli Usa, a cadenza pressoché stabile, ravvicinata, “ordinaria” – come
nel finale del famoso film di Peckinpah, “Il mucchio selvaggio”..
Di molti di essi si adducono poi
problemi psichici, ma come attenuante. Mentre la causa vera è l’effetto dimostrativo
o imitazione – l’evento opera come un forte”convincimento”, risolutivo.
Esito dell’isolamento
dell’individuo, nel villaggio, in città, nel quartiere, a scuola, in famiglia,
tale da acuire la misantropia naturale fino all’esasperazione, alla
distruzione. Esito anche dell’adolescenza irrisolta, prolungata. Ma sempre per
un effetto dimostrativo, una sorta di coazione a ripetere.
L’Is se ne appropria ma non provoca
le stragi, le facilita. Gli attori sono ragazzi europei di seconda o terza generazione
immigrati, cioè nella generazione in cui si diviene spersonalizzati. Diverso è
il caso, e la psicologia, degli attentatori dell’11 settembre, venuti tutti dai
paesi arabi: freddi, addestrati, organizzati. Il loro era un atto di guerra,
New York era il fronte. I lupi solitari, per quanto infarinati di islam e legati
ai siti estremisti dell’islam, sono solo se stessi, una generazione perduta.
Vietnam – Sono passati
senza nessuna menzione, né onorevole né critica, i quarant’anni della
conclusione della guerra del Vietnam ingloriosa. Una ritirata che Kissinger
dovette negoziare per almeno tre anni, la guerra essendo stata perduta si può
dire dall’inizio, con Kennedy che la volle – mai una vittoria, mai un’avanzata.
Una sconfitta cominciata peraltro dieci anni prima di Kennedy a Dién Bién Phú,
per l’indipendenza dell’Indocina, Vietnam incluso, dalla Fancia, e conclusa
provvisoriamente con la divisione del apese.
È una guerra che avrebbe dovuto
insegnare, in occasione delle guerre del Millennio, in Afghanistan, Iraq,
Libia, Siria che non c’è liberazione
possibile se non c’è un popolo e un paese che vogliano essere liberati. Che
abbiano una società, se non la forza militare, capace di vivere in autonomia
oltre che desiderosa. È il caso della liberazione dell’Europa, dell’Italia in particolare,
ma anche della Francia e della stessa Germania. Ma non è uno schema riproducibile
a volontà, esportabile ubiquamente. Non
nel Vietnam per la coesione sociale e nazionale, un paese diviso con la forza,
e tuttavia capace di vincere ogni nemico. Non nei paesi della avventate guerre
del millennio,tutti tribali: le formazioni socio politiche più frantumate e
irriducibilmente divisive, in perpetua guerra civile. Paesi tribali notoriamente,
per studi e accertamenti plurimi del mondo arabo: Libia, Siria, Iraq. E quello
che anche i bambini conoscono, via “Kim”: l’Afghanistan.
Nonché una politica dissennata,
la reazione occidentale all’11 settembre è stata una incolta, da analfabeti.
astolfo@antiit.eu
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