M. Proust, commissario di zona, indaga
su un matricidio-suicidio avvenuto il 24 gennaio 1907, una settimana dopo
Marcel Proust ne scrive al Figaro”. È una coincidenza su cui potremmo indagare
con qualche diletto, ma Proust non ce lo consente, che in questa corrispondenza
mette le fondamenta della futura “Ricerca”.
Proust sostiene che un figlio pazzo che
ha ucciso la madre senza motivo, nemmeno futile, è una persona perbene perché
l’ha incontrato una volta e qualche volta si scrivevano, per i lutti. Trovò per
questo il bisogno di scriverne il panegirico sul “Figaro” dell’1 febbraio 1907,
una settimana dopo l’evento.
Non un articolo antifrastico.
Sembrerebbe, perché Proust è molto atteggiato. Scrive a caldo, di un evento raccapricciante,
anche per le modalità, pretestando impressioni vivissime, mentre divaga allegro
per ogni interstizio. Ma quando torna sl soggetto, lo apparenta ai gradi personaggi
tragici, Aiace, Edipo, Lear di fronte a Cordelia, Karamazov, e tutti quanti. Un Proust inaffettivo, incapace
di passioni.
È molto spesso anche il virtuismo piccolo
borghese, il perbenismo. Henri van Blarenberghe non può essere un folle, ed è una
vittima più che un assassino, di un destino tragico, perché è ingegnere e amministratore
delegato delle ferrovie. Il matricida-suicida è orfano del presidente degli
Chemins de fer de l’Est, le ferrovie francesi più importanti, verso il Belgio e
la Germania, di cui aveva ereditato la titolarità
e parte degli incarichi. Qualche volta, inoltre, tanto illustre personaggio corrispondeva
con Marcel, perché i loro genitori si conoscevano. La mozione degli affetti
iniziale è anzi questa: la morte dei rispettivi genitori, il padre di lui, il
padre e la madre di Proust, somma disgrazia: “Dopo la morte dei miei genitori,
io sono meno me stesso, più il loro figlio”. Con richiami alla “religiosa atmosfera
di bellezza morale” delle rispettive famiglie. Non c’è amicizia, e non c’è vero
dispiacere. Ma Proust ci teneva a dirsi amico dei Blarenberghe: firmò l’articolo,
per la seconda volta dopo i “Pélerinages ruskininens en France” – i precedenti
articoli, gli “échos” mondani, li firmava con pseudonimi.
C’è invece intero, quasi, e definito il
programma della “Ricerca”. La prima
divagazione, elaborata, è sulla memoria. Familiare, personale, e oculare. Sulla
pregnanza e i conforti della memoria, anche visiva, anche a un fuggevole
sguardo. Non partecipata, cioè, e comunque gratulatoria. Questo riguarda i
genitori van Blarenberghe, il figlio Blarenberghe, e già – benché fuori contesto
– la principessa Mathilde.
La breve memoria è tutta un saggio della
prosa elaborata come poi sarà: stiracchiata, accumulativa. Dello strano ritorno
con Proust in pieno Novecento alla prosa retorica – “di atmosfera”, si dice, ma
qui molto di maniera.
Marcel Proust, Sentiments filiaux d’un parricide, Allia, pp. 75 € 3,0
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