domenica 31 luglio 2016

Il primo piano della “Ricerca del tempo perduto”

M. Proust, commissario di zona, indaga su un matricidio-suicidio avvenuto il 24 gennaio 1907, una settimana dopo Marcel Proust ne scrive al Figaro”. È una coincidenza su cui potremmo indagare con qualche diletto, ma Proust non ce lo consente, che in questa corrispondenza mette le fondamenta della futura “Ricerca”.
Proust sostiene che un figlio pazzo che ha ucciso la madre senza motivo, nemmeno futile, è una persona perbene perché l’ha incontrato una volta e qualche volta si scrivevano, per i lutti. Trovò per questo il bisogno di scriverne il panegirico sul “Figaro” dell’1 febbraio 1907, una settimana dopo l’evento.
Non un articolo antifrastico. Sembrerebbe, perché Proust è molto atteggiato. Scrive a caldo, di un evento raccapricciante, anche per le modalità, pretestando impressioni vivissime, mentre divaga allegro per ogni interstizio. Ma quando torna sl soggetto, lo apparenta ai gradi personaggi tragici, Aiace, Edipo, Lear di fronte a Cordelia, Karamazov, e tutti quanti. Un Proust inaffettivo, incapace di passioni.
È molto spesso anche il virtuismo piccolo borghese, il perbenismo. Henri van Blarenberghe non può essere un folle, ed è una vittima più che un assassino, di un destino tragico, perché è ingegnere e amministratore delegato delle ferrovie. Il matricida-suicida è orfano del presidente degli Chemins de fer de l’Est, le ferrovie francesi più importanti, verso il Belgio e la Germania, di cui  aveva ereditato la titolarità e parte degli incarichi. Qualche volta, inoltre, tanto illustre personaggio corrispondeva con Marcel, perché i loro genitori si conoscevano. La mozione degli affetti iniziale è anzi questa: la morte dei rispettivi genitori, il padre di lui, il padre e la madre di Proust, somma disgrazia: “Dopo la morte dei miei genitori, io sono meno me stesso, più il loro figlio”. Con richiami alla “religiosa atmosfera di bellezza morale” delle rispettive famiglie. Non c’è amicizia, e non c’è vero dispiacere. Ma Proust ci teneva a dirsi amico dei Blarenberghe: firmò l’articolo, per la seconda volta dopo i “Pélerinages ruskininens en France” – i precedenti articoli, gli “échos” mondani, li firmava con pseudonimi.  
C’è invece intero, quasi, e definito il programma della “Ricerca”.  La prima divagazione, elaborata, è sulla memoria. Familiare, personale, e oculare. Sulla pregnanza e i conforti della memoria, anche visiva, anche a un fuggevole sguardo. Non partecipata, cioè, e comunque gratulatoria. Questo riguarda i genitori van Blarenberghe, il figlio Blarenberghe, e già – benché fuori contesto – la principessa Mathilde.
La breve memoria è tutta un saggio della prosa elaborata come poi sarà: stiracchiata, accumulativa. Dello strano ritorno con Proust in pieno Novecento alla prosa retorica – “di atmosfera”, si dice, ma qui molto di maniera.  

Marcel Proust, Sentiments filiaux d’un parricide, Allia, pp. 75 € 3,0

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