È nata creatura privilegiata di Hitler, e tale
si è mantenuta anche dopo – grazie all’America, al mito americano del
Maggiolino, macchina impossibile. Ora la condanna americana ne sanziona
brutalmente le pretese, pronunciata nei termini in cui si condannano i delitti
di mafia. La condanna Usa colpisce peraltro una parte minima dei diesel venduti
col trucco da Volkswagen nei sette anni dal 2009 al 2015: meno di mezzo milione
su un totale di dodici milioni – la condanna è una vittoria, l’ennesima, dell’auto
hitleriana del popolo?
La condanna di Volkswagen negli Usa,
sottaciuta, anche perché formalmente si presenta come patteggiamento, con un
riconoscimento di colpa quindi solo implicito, è enorme non solo nella misura
finanziaria. Che pure è senza precedenti: 14,7 miliardi di dollari, con cui
ricomprare il mezzo milione di diesel truccati messi in commercio. I precedenti
di class-action di grande rilievo hanno
avuto esiti molto più contenuti: un milione contro Enron nel 2008, 1,1 contro
Toyota nel 2012, e 2 milioni contro General Motors nel 2015. Il vice-ministro
della Giustizia Sally Yates ha potuto apparentare Volkswagen a una mafia:
“Volkswagen ha ridotto quasi mezzo milione di automobilisti americani a
complici stolidi di un assalto senza precedenti al nostro ambiente”. Sono 470
mila le vetture diesel vendite tra il 2009 e il 2015 equipaggiate con un
software in grado di mascherare, nelle prove, emissioni inquinanti superiori
quaranta volte ai livelli legalmente tollerati.
L’origine dello scandalo viene riportata all’assunzione
della guida di Vw da parte di Martin Winterkom nel 2007, con l’ambizioso programma
di farne la prima casa automobilistica in un dozzina d’anni, “Strategia 2018”. Come?
Col vecchio imperativo tayloristico degli obiettivi di vendita prefissati, o “top
down”: ogni livello deve raggiungere obiettivi di produzione e vendita ogni
anno incrementati. È una strategia aziendale diffusa in Germania, per esempio
nella Deutsche Bank di Josef Ackermann, che portò a vari suicidi. E negli Usa –
Apple è così organizzata, e anche la General Motors. Un’inchiesta di Jeffrey
Rothfeder per il “New Yorker” riassume l’organizzazione top down in una pressione insopportabile, alimentata dall’intimidazione,
a ogni livello, che crea una cultura aziendale borderline, ai limiti dell’etica,
e se necessario più che borderline”.
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