“Il nucleo fattuale
del presente libro è costituito da venti pagine del mio diario di guerra,
pubblicato alcuni anni fa sotto il titolo di Nelle tempeste di acciaio. Quel che attiene meramente ai fatti è
perciò ad alcuni già noto. L’essenziale è invece quel che nel frattempo si è
sviluppato su quel terreno oggettivo, in una versione e in una direzione
prettamente spirituali, e che di quell’esperienza dispiega – come, spero, secondo
una necessità – un nuovo risvolto. Gli uomini per i quali io scrivo sanno che
non si parla qui di un destino personale bensì generale, e non di cose passate
bensì future. Al moderno nazionalismo, a dispetto del gran numero dei suoi oppositori,
auguriamo altri sette anni come quelli che si è lasciato alle spalle. Allora
potrà rendere chiaro a se stesso la potenza dei propri mezzi. Questo libretto è
pensato come contributo alla preparazione”. Sette anni di revanscismo, dopo al sconfitta.
Jünger è stato in
combattimento per la prima volta a diciannove anni, a fine dicembre del 1914.
Farà tutta la guerra al fronte, pur avendo subito quattordici ferite. E nel
1920, a venticinque anni, pubblica “Nelle tempeste d’acciaio” che lo impone
grande scrittore della guerra. Ma già l’anno prima della guerra, nel 1913, era
fuggito di casa per arruolarsi in Nord Africa nella Legione Straniera. È il tipo
che Karl Marlantes, lo scrittore americano della guerra del Vietnam, dei reduci
della guerra perduta, dice il “guerriero nato” nella prefazione a “Tempeste
d’acciaio” ora riedito nei Penguin.
“Tempeste d’acciaio”
è la guerra, pura e dura, senza ragioni né torti, senza filosofia e senza
politica. Il seguito, questo “Fuoco e sangue”, benché derivato anch’esso dai
diari di guerra, è un programma politico. È un testo che Jünger pubblica cinque
anni dopo “Tempeste d’acciaio”, con la prefazione di cui sopra, ripubblicherà pochi
mesi dopo con una nuova e più chiara prefazione, e rivedrà nel 1973 – nel
rifacimento che ora di traduce. L’edizione italiana non riporta le due
prefazioni, che però sono utili a capirne il senso.
La seconda prefazione è anzi esplicita: “Le
opere preliminari sono compiute, le alleanze sono concluse, l’essenza del nuovo
Stato, cui conduce una strada che non passa attraverso compromessi, si presenta
con chiarezza. Amore della patria, cameratismo, coraggio e disciplina vi
trovano la loro espressione. O, in altre parole, esso dovrà essere articolato in
modo nazionale, sociale, militare e autoritario. Su questi quattro punti si
regge il programma nazionalistico”. Con l’auspicio: “Possa la conversione di
tutte le forze che già si sono raccolte sul grande fronte comune di battaglia,
del quale la forma sarà anche quella del nuovo Stato, presto trasformarsi in un
evento reale, nel primo passo verso la vittoria che si è resa possibile nella
sua piena nettezza solo tramite la prova estrema affrontata dalla nostra forza
vitale”.
Parole,
linguaggi e concetti erano stati tre anni prima il monumento nazionale a
Schlageter, il giovane eroe eponimo della resistenza alla nemica Francia. Che
sarà commemorato anche da Heidegger, futuro compagno di strada di Jünger nella
fede inalterabile per il suolo e il sangue – ma Schlageter fu commemorato,
quando nel 1923 i francesi lo catturarono e lo fucilarono, il 13 maggio 1926, anche
da Radek, all’esecutivo dell’Internazionale comunista il 20 giugno: “Durante il
discorso della compagna Zetkin ero ossessionato dal nome di Schlageter e dal
suo tragico destino. Egli molte cose ha da insegnarci, a noi e al popolo
tedesco. Non siamo dei sentimentali che
dimenticano l’odio di fronte a un cadavere, e neppure dei diplomatici.
Schlageter, il valoroso soldato della controrivoluzione, merita da parte
nostra, soldati della rivoluzione, un omaggio sincero. Noi faremo di tutto
perché uomini come Schlageter, pronti a donare la loro vita per una causa
comune, non diventino Pellegrini del Nulla” (Schlageter piacerà pure a Giaime
Pintor: aveva formato un gruppo d’assalto nei paesi baltici ai primi del ‘19,
contro russi e polacchi, e contro la Novemberrevolution, l’abbozzo di rivoluzione socialista, in
patria).
Della
prima edizione esiste una copia, anticipata dall’editore prima dell’uscita in
libreria, con dedica a Hitler il 9 gennaio 1926. “Breve episodio di una grande
battaglia è il sottotitolo”, e s’intende il racconto di un piccolo episodio della
Grande Guerra. Ma il pensiero Jünger voleva corresse alla “necessaria”
rivincita.
La pubblicazione si
era fatta con le edizioni Stahlhelm, fondate nel 1919 per dare voce alla
Federazione dei soldati del Fronte. Cioè, a guerra finita, ai reduci che non
accettavano la sconfitta.
Ernst Jünger, Fuoco e sangue, Guanda, pp. 160 € 16
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