“Il centenario di un amore”: una mostra
per i cento anni dell’incontro tra Campana e Aleramo, a cura di Mirna
Gentilini, del Centro Studi Campaniani a Marradi. “Tre notti di fuoco”,
dopodiché Sibilla partì. Le bastava aver associato il suo nome al poeta
maledetto. Uno in più, era una collezionista: tra Giovanni Cena, Papini,
Cardarelli, Boccioni, De Robertis, e poi, sfiorendo, i capoccioni del Pci,
Quasimodo, etc.
La mostra è sul positivo, per una vera
storia d’amore. Lei “era una donna libera e emancipata”, lui “un ribelle”, la
vicenda, tra il 1916 e il 1917, quando altrove si moriva a frotte, “una storia
d’amore breve, intensa, violenta”. Ma di chi contro chi? Questo la brochure
e la mostra non lo dicono, e l’occasione quindi è perduta per rivedere la storia
criticamente. Anche valutare quanto l’ennesima impresa della cacciatrice di
geni pesò sullo stato psichico di Campana. Ma è, benché modesta, una celebrazione
piena di reperti: cartoline, lettere, appunti, telegrammi, appunti, poesie
autografe, rifacimenti. Cose malgrado tutto emozionanti.
La storia è questa. Lui è un poeta e un
pioniere riconosciuto coi “Canti orfici”, lei lo cerca, lo avvince, e lo lascia.
Dice Gentilini: “Sibilla ebbe tanti amori: poeti, scrittori, pittori, ma «forse
Dino fu l’uomo che più amai, disperatamente» scrisse nel suo Diario molti anni
dopo”. Forse. Continua Gentilini: “Con lui si imbatté nel mistero della poesia,
anzi fece l’esperienza, unica al mondo, di fondere la vita con la poesia. Non è
un caso che sia proprio lei a cercare Campana dopo avere letto i Canti Orfici
ed esserne rimasta «abbacinata e incantata insieme»”, avviando uno scambio
epistolare.
Lo sapeva pazzo, ma non esitò: “Lo amò”,
ricorda ancora la curatrice, “«per non lasciarlo solo nella sua follia», finché
l’inferno della malattia che lei sublimò in versi: «Rose calpestava nel suo
delirio/e il corpo bianco che amava», la costrinse ad allontanarsi”. Versi di
nessuno spessore. E non è finita: “Lo illuse ancora per qualche mese con le sue
parole, con le sue lettere, prima di staccarsi definitivamente da quel rapporto
infelice”.
Una storia infelice. “Penso a Campana,
alle sue magnifiche membra d’atleta, che racchiudevano uno spirito che il vento
della vita spense. Tutta la sera m’è ondeggiata alla memoria l’immagine di lui,
della sua pazzia, e quell’altipiano deserto in quelle prime poche notti estive
del nostro amore che sono rimaste le più pervase d’infinito ch’io abbia vissuto”.
Così annota Sibilla Aleramo nel suo “Diario” tredici anni dopo, ancora “una
bella donna” (De Robertis), ricordando quell’amore - “ il più intenso e il più
terribile della mia vita” - che ebbe inizio al Barco, nell’Appennino tosco-
romagnolo, la notte del 3 agosto 1916, e finì poche ore dopo.
Infelice anche la storia delle lettere,
la pubblicazione che Niccolò Gallo curerà negli anni1950-1960 – un libro che
ancora si riedita. La rilettura delle sue lettere, che Sibilla non ricordava
come fossero rientrate in suo possesso, la turbò molto e le creò qualche
incertezza, in quanto “sono molto più numerose e lunghe di quelle di Dino. Non
potrà sembrare, che so, esibizionismo?”, prende le misure nel “Diario”.
Dino Campana-Sibilla Aleramo, Questo
viaggio chiamavamo Amore, Museo
Artisti per Dino Campana, Marradi, in mostra fino al 25 agosto
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