Le dimissioni polemiche dell’imam Hocine
Drouiche, vice-presidente delle guide islamiche in Francia e candidato alla
Grande Moschea di Parigi, dopo la strage di Nizza conferma quello che non si vuole
sapere – “troppa ipocrisia”, si finge di non sapere che “l’estremismo islamico non esiste” per le
autorità religiose islamiche. La taqiya,
la dissimulazione, è virtù che l’islam premia, e gli imam non se ne privano:
diranno, qualche volta, che condannano i terroristi, e che il terrorismo non è
islamico, ma non se ne occupano, a loro preme la decima, e semmai gli animi eccitarli,
con qualche predica, e non ammansirli. Ma con troppa disinvoltura.
Il problema non sono gli imam. Che al più sono
solo una spia. Di un’integrazione che non può essere quella corrente, in
Francia e Belgio, e in Gran Bretagna: octroyée,
si diceva un tempo, buttata lì come una concessione e un premio. L’integrazione
dev’essere voluta e meritata. A pena del rifiuto, anche se non violento e
diffuso come in Francia e Belgio ultimamente, isolatamente e in gruppi.
Il rifiuto di molti mussulmani, giovani, di
seconda e terza generazione europei, con troppi casi di brutalità, non è
eccezionale – in certo senso gli imam francesi hanno ragione. È assimilabile al
rifiuto, incondizionato in quel caso con buona ragione, della civiltà che si imponeva
con le colonie. Il”problema” immigrazione e integrazione va rovesciato: l’assimilazione
non va concessa ma va conquistata.
Un processo lento di assimilazione evita anche
la costituzione di “luoghi” del rifiuto: il concentramento delle masse di nuovi
cittadini nei cosiddetti ghetti. Non chiusi ma ugualmente marginalizzanti. Un’integrazione
lenta ugualizza le condizioni.
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