Autore –
Non può essere che un dilettante, a giudizio di Rousseau: “Ho sempre sentito
che la condizione di autore non era, non poteva essere, illustre e rispettabile
se non in quanto non era un mestiere. È troppo difficile pensare nobilmente
quando non si pensa che per vivere”. È il suo tratto più attraente: visse di
poco. I suoi libri erano lettissimi in tutta Europa, ma non essendoci diritto
d’autore non ne guadagnava niente. Negli ultimi tempi rifiutò anche le offerte
di illustri mecenati, organizzandosi per vivere come copista di musica: calcolò
il numero di pagine di musica da copiare che gli era necessario ogni giorno per
sovvenire al suo modesto ménage, e
una volta raggiunta quella quota si riteneva libero per il resto della
giornata, per riflettere, scrivere e passeggiare.
All’altro
estremo Voltaire, che invece investì giudiziosamente, ebbe fortuna, e si creò
una rendita cospicua, che lo lasciò libero di scrivere a piacimento, senza dover
mendicare favori o protezioni.
È
nell’Ottocento che nasce il diritto d’autore. Che sembra liberare lo scrittore
e invece ne modifica la figura. Per l’ambiguo rapporto che l’autore sarà obbligato
a intrattenere con l’industria editoriale. Che moltiplica e migliora la stampa
e la circolazione (distribuzione ), ma non la qualità.
La
pubblicazione libera, online o autoprodotta, può mutare l’industria editoriale
ma non migliora le cose (la qualità), giacché sconfina nei social, vi si confonde.
Céline –
Costernante nelle interviste - superficiale, ripetitivo. Genere di cui era
goloso, se ne fanno corposi repertori, pur giocando all’eremita misantropo e un
po’ barbone, col maglione sdrucito in mezzo ai gatti, e cercando di imitare
nelle risposte la scrittura. Mentre rimesta continuamente, per anni, per
decenni, gli stessi argomenti, il collaborazionista-perseguitato – una sorta di
polemista professionale al talk-show, si direbbe, un ruolo prefissato.
Conrad –
Viene proposto come scrittore di avventure, mentre ha tipi – Lord Jim, Kuntz –
piuttosto disorientati. Sognatori e irresoluti più che uomini d’azione, rifiuti
anche della storia, Non eroi ma falliti, ossessionati dal fallimento.
U. Eco –
Gli si imputa lo scadimento della semiologia nello scadimento dei soggetti e
dei valori: Mike Bongiorno, il “feuilleton”, etc. Mentre era il contrario: perfino
rigido (dogmatico) nell’analisi dei segni, e dei limiti\illimiti dell’interpretazione.
Nonché sui valori, sempre per lui “classici”, benché fosse un pre-digitale, proiettato
su tutte le innovazioni dell’elettronica, e come editore portato a considerare
il mercato.
Come
scrittore tenta un difficile raccordo, e si può anche dire che ha fallito –
alla rilettura i romanzi sono intollerabili.
Giallo –
Quello mediterraneo è consolatorio - un
po’ melenso. Con i morti, con le mafia anche, ma senza tanta cattiveria.
Non punta all’effetto horror (paura) quanto a quello consolatorio, del bello e
buono che tuttavia il Mediterraneo offre: Pepe Carvalho il cibo, Montalbano le
donne, Charitos la famiglia e il vocabolario. Tutt’e tre i giallisti mediterranei, Montalbàn,
Camilleri, Markaris fanno grande spazio alla convivialità. E benché di maniera
i loro racconti sono reali – forse per i nordici, per chi frequenta i loro
posti in vacanza (anche per i nordici italiani).
Holden –
Il “New Yorker” rifiutò l’estratto che Salinger aveva mandato in anteprima, da
apprezzato collaboratore – il settimanale ricorda il rifiuto nel’edizione
domenicale online. Salinger era collaboratore assiduo del “New Yorker”, che ne
aveva pubblicato sei racconti, tra essi “Un giorno ideale per i pescibanana” e
“Per Esmé – con amore e squallore”. Ma quando in redazione arrivò l’estratto, chi
lo lesse concordò che la precocità dei quattro Caulfield non era credibile, e che
la scrittura era “showoffy”, pretenziosa.
Lo stesso
fece l’editore di Salinger, che ne aveva sollecitato il racconto lungo, Harcourt
Brace. Dove un altrimenti ignoto dirigente, Eugene Reynal, “raggiunse
l’immortalità nel modo sbagliato, lamentando che non riusciva a capire se Holden
Caulfield era supposto essere pazzo oppure no”. Subentrò la casa editrice
Little, Brown, che lo pubblicò l’anno dopo, luglio del 1951, e ne ha venduto finora oltre 60 milioni di copie”.
Incostanza – Il tradimento è svanito, dopo tre secoli di letteratura. Di letteratura femminile quasi femminista, benché maschile, a opera di uomini – anche se a partire da madame de Lafayette. (o dalle “Preziose” di qualche decennio prima?). Di migliaia (milioni?) di romanzi, col vertice in Laclos. Fino ai tanti romanzetti “di costume” francesi. Molti opere di donne – da noi li rifà Camilleri.
Intelligenza – Proust (“Contro Sainte-.Beuve” e altrove) la dice secondaria rispetto alla creatività. Ma lui la coltiva molto, egregiamente. E Gadda, Calvino, Soldati? Manzoni? Il Settecento francese? Borges sa fare dell’intelligenza racconto. Anche Sciascia.
D.H.Lawrence – Scriveva per una forma di compensazione. Di ciò che non
poteva o non riusciva a provare? Per esempio da ultimo il sesso. O in tanti
racconti la disinvoltura italiana – oggi è di moda dirla sprezzatura? In un
certo senso, è come ne diceva Orwell, che gli attribuisce “la straordinaria capacità di vedere con l’immaginazione ciò
che non può conoscere con l’osservazione”, con l’esperienza.
Lettori
– Keynes ne stimava quattromila per un’opera prima, tra parenti, amici e conoscenti.
Era un cattivo economista? Anche quattrocento, dove li trovava – acquirenti,
anche se non lettori? Anche gli happy few
di Stendhal o i venticinque di Manzoni sembrano troppi.
La
lettura è casuale – ora è funzione del marketing. Anche la critica: pochi
scrittori si sono riconosciuti nella critica, e i più di questi pochi in un
solo critico, al più due.
Thomas Mann – “Dove sono i miei occhiali” sono le sue ultime parole. Che si comparano,
si direbbe, non favorevolmente col “Mehr Licht”, più luce, che si attribuisce a
Goethe. Ma Thomas Mann ha probabilmente in Germania più followers di Goethe – in patria non molto apprezzato.
Nichilista . È creatura russa, si sa, ma anche un puppet? È quello che sosteneva Oscar Wilde: “Il mondo è triste
perché un pupazzo divenne un giorno
malinconico. Il nichilista, quello strano martire che non ha fede, che va
all’assalto senza entusiasmo, e muore per quello in cui non crede, è un
prodotto puramente letterario. È stato inventato da Turghenev, e completato da
Dostoevskij”.
Ninfee –
Quelle di Monet sono un culto. Se ne fanno mostre, se ne scrivono libri, anche
gialli, se ne producono docufilm a larga distribuzione. Senza dire che sono un
soggetto quasi unico della pittura di Monet negli ultimi anni perché la
cataratta gli aveva alterato gravemente la vista.
Ombra –
È materia di elogio costante, da ultimo con Borges, Tanizaki, Corbin. Ma anche
di contestazione, non solo al Nord, dove non ne conoscono le virtù. Troppi vicini e sindaci tagliano gli alberi,
anche se secolari, “perché fanno ombra”. Oltre agli immobiliaristi, per cui
meno ombra si fa è più si guadagna
–basterebbe questo valore aggiunto per renderla necessaria.
Proust –
Snob fino alla dissoluzione dello snobismo – all’annullamento, al massacro. I
suoi Guermantes sono dei Verdurin, ingiuria suprema – Proust è “vissuto”
Verdurin, sebbene con ironia. Solo che non ne hanno i mezzi mentali: libertà,
elasticità. Le reazioni sdegnate dei modelli dal vivo del partito nobiliare lo
prova: nella “Ricerca” sentivano un’intrusione e un’offesa, non un omaggio –
solo i Verdurin lo pensano un omaggio, che sono i lettori di Proust.
Sartre –
Fece pipì, racconta Simone de Beauvoir, “La cerimonia degli addii”, sulla tomba
marina di Chateaubriand. Di cui ammirava la qualità della scrittura. Un guasto
dell’ideologia? L’invidia?
Non
avendo pagato le tasse per un buon numero di anni, quando arrivò l’accertamento,
in età matura, corse dalla mamma, Anne-Marie
Schweitzer, della famiglia alsaziana di industriali e professionisti (Albert
Schweitzer, il Nobel per la pace 1952, era suo zio), che ne coprì l’esborso. Ha
avuto una vita di fatto completamente disgiunta dall’immagine che gli fu
costruita – si costruì? – intorno.
Vanità - Nella lettura alla Milanesiana (“Corriere
della sera” dell’altra domenica) Magris trascura, pur dettagliando la vanità sul Battaglia, il
fondamento del repertorio: l’“Ecclesiaste” – almeno l’“Ecclesiaste” nella traduzione
di san Girolamo, che Ceronetti vuole falsata. Vi manca anche il culto di sé,
specie tra gli artisti. Si dice delle donne, ma è prevalente negli artisti,
fino alla stizza – nelle donne non è offensiva.
Wagner –
Rimproverando a Mozart la “mancanza di serietà”, si definisce pedante (programmatico)
e anche un trombone – la creazione è applicazione e scaletta dei lavori, ma anche
lievità di spirito. Sulle orme di Berlioz, altrettanto programmatico e serioso.
C’è qualcosa
di malsano nel wagnerismo, a partire da Baudelaire. Non in Wagner, che è personaggio,
ma nel suo culto. Considerati i limiti – evidenti, dichiarati, vantati – del personaggio.
Senza
contare il fanatismo, il culto della personalità. O quello che ne diceva Mark
Twain, che la sua musica perde molto a essere ascoltata.
letterautore@antiit.eu
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