“Tony Pagoda” Sorrentino ha trovato la
sua cifra, dopo l’esordio nel romanzone “Hanno tutti ragione”- poi filmato come
un “Cabaret”, e la differenza con l’originale si pesava. Sorrentino, che
intanto maturava film d’autore, “La grande bellezza”, l’ancora più complesso
“Youth”, si abbandona all’umore malinconico. Meglio, riflessivo. Quello del grand reporter, giornalismo d’autore o
narrazione del reale. Dietro il sorriso: di compatimento, di amicizia, di
desiderio, del giudizio, del caso che sempre ci mette la zampa, soprattutto
nelle avventure sentimentali. A proposito dello spettacolo anzitutto, della
vita della gente di spettacolo, che più lo alluzza, anche negli ultimi
impegnativi film. Berlusconi “Fabietto” in improbabile visita di Stato a
Pyongyang – ma ritratto realisticamente come l’orfano, o la vittima, del padre,
quello che non è mai cresciuto. Le stesse olgettine, Ruby in prima fila,
proiettando pietoso sul loro pallido palcoscenico. Ma di più su una serie di
esistenze prese dal reale, gli amici Maurizio Ricci e Jacopo Benassi (“Tonino
Paziente”), Maurizio Costanzo, Venditti, Lavezzi. Silvan, le “vecchie glorie”
Carmen Russo e Enzo Paolo Turchi”, Stromboli, l’hostess di trent’anni prima –
ma quanti anni ha vissuto Sorrentino, forse non tutto è cose viste? “Ettari di
volgarità e tenerezza da raccontare”.
Su tutte un velo di rivoltata ma sempre
giudiziosa malinconia. Per la nostalgia anzitutto della “vera vita”, del non
essere cresciuto. Costante è il ritorno, con “Fabietto” e con gli amici, ai “famosi
ragazzi senza pensieri”, che sapevano ridere, di nulla: “Siamo stati un
candore. Siamo stai uomini senza scopo. Siamo stati la vita che si lascia
vivere”. O della “inutilità” come “grandissimo vanto”. Per il disagio nel mondo
della parvenze, che è il suo: dello spettacolo. “Si trova un pubblico per ogni
cosa”, la più triviale. O la modernità che sempre più rapidamente consuma se
stessa: “Si cattura a brandelli. Di fretta”, un motivo, un fotogramma, una
frase, “niente per intero, le frasi tutte sconnesse, incomplete”.
Ma una predica non minacciosa. In una
vena surreale, scorrevole. Con chicche da antologia. Ruby al ballo viennese
delle debuttanti – 40 mila euro per farsi notare ogni due minuti un paio d’ore
in un palco all’Opera, smanazzata da ovvio pingue miliardario – “le donne di
Berlusconi, senza saperlo, stanno morendo di vecchiaia”, sono giovani vecchie,
che non vivono la loro giovinezza. Enzo
Paolo Turchi e Carmen Russo che”non hanno figli, ma possiedono ventotto cani”.
Maurizio Costanzo, che sa essere “un ammiratore degli altri”. E la “grande
bellezza” di Roma, di “una straordinaria città morta”. Straordinaria per l’integrità:
“È l’integrità del cadavere il grande miracolo estetico e mistico di Roma. Essa
non conosce il degrado del corpo”. E poi: “Per sentieri vivi, non bisogna forse
ossessivamente relazionarsi con la morte?” O anche: “Una città che è sempre una
novità per la semplice ragione che la morte è sempre una novità”.
Paolo Sorrentino, Tony Pagoda e i suoi amici, Feltrinelli, pp. 158 € 7
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