Accudimento – È tema di recente considerazione, per le indagini di Martha Nussbaum - "Giustizia sociale e dignità umana”, e altri saggi. Ma, contrariamente alle semplificazioni storiche di genere, è sempre stato
materia di riflessione, in tutta la poesia e la letteratura sulla vecchiaia e
la malattia. In termini contemporanei, di “lavoro domestico”, almeno un secolo
fa, nelle polemiche di Chesterston, che lo dice “la missione di una donna
laboriosa, ma è tale perché è gigantesca e non perché sarebbe meschina”. Specificando:
“Compiangerò la signora Jones per l’enormità del suo compito, non lo dirò mai
un impegno piccolo”.
Casualità
– Ha sempre un elemento di necessità, anche nella coincidenza-contingenza.
Sartre la scopre uscendo dal cinema, dove il film si è svolto per immagini
concatenate, guardando la folla sul marciapiedi: “Non c’è necessità nella
strada: la gente si spostava, erano anonimi”.
Invece la necessità incombe, come di un disegno più vasto, non dei
singoli ma della massa – dell’ora, del business, degli acquisti, dello strolling. Il superfluo, l’occasionale, la
“combinazione”, eventi senza causa e spesso senza esiti, sono solo in rapporto
a una necessità e a un ordine. La vita stessa è casuale e ordinata – quando si
produce, necessitata.
Dogmatismo – È più duro (inflessibile, insidioso) sotto la forma dell’antidogmatismo.
Sartre, per esempio, che i giudizi estetici proferisce come esito di un’argomentazione:
il cinema è e deve essere del presente,
e dunque “Citizen Kane”, che è coniugato al passato, lungo flashback,
non è un film. O i romanzi di Mauriac non sono romanzi perché il romanzo deve
essere… chissaché. Come un burocrate di Kafka che pretendesse dall’utente per
servirlo un certificato di vivenza che solo lui, il burocrate, può dargli.
Futuro –
“Impossibile da vedere, il futuro è”, è filosofia di Yoda, il Gran Maestro del
Consiglio Jedi. E tuttavia retrospettivamente, nelle riletture, si scopre ben
disegnato specie nelle buone opere di storia - rare. O anche in scritti
occasionali, ma di chi ha la capacità di “vedere” nel presente. Magari in un “a
parte” – casualmente, non di proposito. L’imminente declino dell’Occidente in
una lettera di Keynes a Virginia Woolf, la violenza del messaggio basico
dell’islam in un saggio di Lou Salomé sull’ebraismo della figura di Gesù.
Inadeguatezza
–
È termine (concetto?) corrente in analisi per caratterizzare il deficit di
volontà. Era una riserva che il poeta Michaux consigliava di tesaurizzare:
“Sempre tenersi in riserva di inadeguatezza. Ci sono delle malattie che, se si
guariscono, all’uomo non resta nulla”.
Salvo rivedere in tarda età, con la
lusinga nell’opera omnia nella Pléiade, i suoi stessi primi testi, i più fantasiosi
e efficaci, per renderli politicamente corretti al gusto dell’epoca – anni
Settanta: maoismo, terzomondismo, perbenismo.
Intelligenza – Dello scrittore Nabokov Hannah Arendt diceva che era “troppo” intelligente. In un certo senso, che spiegava: “Si direbbe che cerca sempre di definire se stesso come «più intelligente di»”. E aggiungeva: “C’è qualcosa di volgare in questa sua raffinatezza”.
L’intelligenza è misura. Eccede sia contorcendosi,
sia mettendosi in concorrenza.
Oblio
–
È selettivo, senz’altro, la rimozione non è innocente, e tuttavia vitale, come
e più dell’alimentazione, materiale e o spirituale. Un soggetto incapace di
oblio sarebbe nient’altro che il Funes dell’omonimo racconto di Borges, uno
“condannato” a una memoria ipersviluppata, che ricordando tutto non può
governare la mente, è sommerso da dettagli, istanti, lampi, sconnessi,
insopportabili.
Orgoglio
–
È la volontà. Il peccato d’orgoglio è peccato di volontà? È tutto qui il
“problema” della libertà: se essere se stessi e proteggersi è – fino a che punto è – peccato o legittima
difesa.
Poesia
–
Relegata alla prosodia, la metrica, la versificazione, e a una serie di
tematiche classificabili, dall’elegia all’epica, non è piuttosto il legame, per
quanto tenue, che si stabilisce con l’inafferrabile reale? Per i suoi buoni
propositi – la poesia non saprebbe essere cattiva, anche se è versificazione
cattiva. Per il suo tentativo o scopo di accesso al reale, o supposto tale:
intuitivo e non ragionato, o spirituale.
È forse questo – l’accesso al reale
altrimenti che con la poesia - il fondamento alla radice della diffusione,
finché c’è stata, del cristianesimo. Che, come si sa da Tommaso d’Aquino, ha
“rovesciato” il mondo platonico. Del mondo spirituale buono come opposto al
mondo materiale cattivo. No, il Dio del cristianesimo è uno che, dopo aver
creato il mondo, lo guarda e ne è contento: è l’uomo che, cogitando, inventa il
male, in pensiero e in azioni, spirituale e volontario – l’opera dell’inferno,
la sua creazione e il suo dispiegarsi, è spirito e orgoglio (volontà). La
poesia non si pone il problema, ma vi agisce dentro, come se.
Così faceva la poesia pre-platonica. Ma
anche la poesia postplatonica: la poesia non è si è mai adattata al platonismo.
Il fatto è da indagare, ma a un colpo d’occhio non se ne trovano esempi – forse
John Donne, che però scartava volentieri.
Professionalità – Come opposta
al dilettantismo: è un compimento, e una patente. Di capacità, serietà,
efficienza, sicurezza. Mentre è solo certificazione di una capacità tecnica, di
medico, avvocato, ingegnere, idraulico, elettrauto. Senza più. Il poeta, il volontario
non si richiede che siano professionali, o il santo. Lo sport professionale si
riteneva mercimonio fino a non molto tempo fa, prima dei record e delle classifiche
– e tuttora, con qualche ipocrisia, all’Olimpiade. Nelle lettere e le arti la
professionalità non avvantaggia, e anzi può funzionare da handicap. Nell’amore
o nella famiglia non ce ne è in nessuna forma, per compiti pure onerosi e
delicati, diventare marito o moglie, genitore o figlio. L’amore professionale è
prostituzione.
Verità –
È sempre a proposito di qualcosa, mentre la realtà è quello di cui parla la
verità - lo dice C.S.Lewis ma si è sempre saputo. È applicata al “fenomeno” religioso,
però, che questa semplice verità s’invera - invera il fatto religioso? Nella
fede che è un atto di verità, ma non è razionale. Di verità poiché si applica a
(nasce da) un fatto reale, di volontà (voglia, desiderio, bisogno) di credere
senza alcuna costrizione, e senza allettamenti o premi.
Più che
di una serie logica è fatta d’immaginazione. Nella ricerca astratta,
filosofica, e nella ricerca scientifica. Qui forse più che in quella, nell’aneddotica
ma anche nella pratica scientifica, la formulazione delle ipotesi.
Weltschmerz – È concetto e conio di Jean Paul, per dire la verità impossibile, la
pace dello spirito, e il male incontornabile del mondo. Ma origina in
letteratura – e in filosofia – con Amleto.
Con
Amleto Shakespeare introduce e impone
una nuova forma di infelicità: quella della vita in sé. Che poi sarà detta del Weltschmerz - Jean Paul era anglofilo,
ed era noto e apprezzato in Inghilterra, da De Quincey et al..
zeulig@antiit.eu
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