Nelle
corrispondenze dalla Russia raccolte sotto il titolo “I maestri del diluvio”,
Corrado Alvaro riprende respiro, dopo settimane di miserie e deserti, a Rostov,
per “il vento e l’aere del Mediterraneo”:
“A Rostov il clima dà una certa letizia; la sera, sulla strada centrale
intitolata a Engels, passa come in una città dell’Europa meridionale: la gente
passeggia spensierata, gli uomini sono ben fatti, le donne forti e belle, e in
genere tutta la vita meno affannosa”.
Alvaro,
si sa, è nato e cresciuto in Calabria, nell’Aspromonte, ma poteva scrivere di
questo sollievo sulla “Stampa” di Torino, nel 1934.
Continua
Alvaro, in altra corrispondenza, per illustrare la regione di Rostov, il
richiamo al Sud: “Il Caucaso tra Rostov e la
costa del mar Caspio ha una somiglianza con una regione italiana, quella che si
stende fra Salerno e Battipaglia”. Allora i lettori della “Stampa” sapevano
dov’è Battipaglia?
In “Il mio amico Maigret”, secondo volet della trilogia maigrettiana del
Sud compilata da Adelphi, il commissario, “che in fondo non amava troppo il
Midi”, vi si trova immerso fino al collo. Per giunta in un’isola, piccola,
Porquerolles, sovrastato dalla luce e dagli odori. Ma di più dalla presenza
muta, in qualità di osservatore-ammiratore, di un ispettore di Scotland Yard.
Il quale invece il Sud se lo gode tutto, compresi i “bianchini” e i bagni di
mare. In reazione, lui dice, al puritanesimo, in realtà perché senza
pregiudizi.
Perché
la Sicilia non è la California
Perché la Sicilia non è la California d’Italia
è vecchio tema. Ha tutto della California, le arance, il vino, il petrolio e il
clima buono, con i terremoti e gli incendi, ma non sa capitalizzarlo, farne un
moltiplicatore del reddito e del buon vivere. E anzi sempre annaspa. Colpa
della Spagna, si dice, ma la Spagna non c’era anche in California?
Una parte sicuramente interessante delle
controverse “Lettere a Svetonio” del boss
latitante Matteo Messina Denaro è l’introduzione di Salvatore Mugno. Per la
parte che Mugno riserva a Virgilio Titone, compaesano del boss a Castelvetrano, alle sue trascurate “Considerazioni sulla
mafia”, 1957, assortite da “Storia, mafia e costume in Sicilia”, 1964, e alla sua più generale mentalità di siciliano
rivoltato… di essere siciliano. Condizione non eccezionale nell’isola – è parte
della stessa deresponsabilizzazione che denuncia – ma in Titone acuta:
battezzato Virgilio Pio Libero dal padre socialista, professore a Palermo di
Spagnolo, e poi di Storia Moderna, fu polemista collaboratore di “Epoca” e
“L’Espresso”.
Qui ci sono “colpe” più sostanziali che non quella della Spagna. Controverse sono pure le sue “Considerazioni sulla mafia”, e le note successive in materia, che Titone individua come “malattia morale”, per usare la formula di Croce per il fascismo, attribuendola all’“indole”, al “carattere”, e altri concetti vaghi, il “sentire”, “l’anima dell’isola”. Ma anche, in una mezza pagina che purtroppo non approfondisce, a una formazione\concezione ancora tribale della società: “In ogni caso l’organizzazione tribale rimane idealmente alla base della nostra società”.
Qui ci sono “colpe” più sostanziali che non quella della Spagna. Controverse sono pure le sue “Considerazioni sulla mafia”, e le note successive in materia, che Titone individua come “malattia morale”, per usare la formula di Croce per il fascismo, attribuendola all’“indole”, al “carattere”, e altri concetti vaghi, il “sentire”, “l’anima dell’isola”. Ma anche, in una mezza pagina che purtroppo non approfondisce, a una formazione\concezione ancora tribale della società: “In ogni caso l’organizzazione tribale rimane idealmente alla base della nostra società”.
Titone ci arriva indirettamente, con la
non curiosa ipotesi che la disgregazione sia da ricondurre a un eccesso di umanità: “Forse deve
vedervisi qualcosa di più umano che presso
altri popoli non ci sia dato notare…in queste forme di quasi congenita
asocialità o incapacità a vivere socialmente”. Alla quale arriva ancora
indirettamente, dalla vecchia distinzione, “la sola distinzione possibile”, “tra
gli amici e coloro che non lo sono”.
Che è vera in un punto: è nemico tutto ciò, sia pure solo estraneo, “con cui
non si hanno rapporti di simpatia, amicizia, colleganza, complicità”. Che è un
disagio psicologico, ma, nei grandi numeri, è il fondamento dell’organizzazione
tribale.
È in questo senso tribale di appartenenza,
di cui è estensione la “sicilitudine” e affini, l’incapacità di crescere: la
tribù protegge e nello stesso tempo impedisce, evitando la competizione, di accumulare
e moltiplicare (affrancarsi, autonomizzarsi). E il fondamento anche delle
perdurante anomalie psicologiche del “meridionale”, nel terzo millennio e in
regime di piena libertà come nel 1957: il vittimismo e il risentimento.
La
maturità al Sud
Bisogna chiudere il “Banzi” di Lecce,
che ha avuto 26 lodi alla maturità, dopo il “Piria” di Reggio Calabria, che il
primato ha detenuto per anni. Si angustiano altrimenti ogni anno per un paio di giorni il “Corriere della sera”, “la Repubblica”, Canale 5, e anche la Rai: che
questi 100 e lode non siano mafiosi? Anzi, sicuramente: sono uno scandalo,
bisogna finirla, eccetera. Proprio nel mezzo delle loro vacanze, tra san Lorenzo
e Ferragosto. Si eviteranno tanti sangui amari, pronti soccorsi, e anche qualche
colpo apoplettico, con risparmio per l’economia dei servizi.
Il liceo di Lecce è anche selettivo: ha
guadagnato 26 lodi ma ha comminato 32 bocciature, altro record – le bocciature
sono 4-5 mediamente per istituto. E allora che scuola è questa, che boccia?
Si oppongono alle “maturità con lode” le
valutazioni o “concorsi” nazionali e internazionali. Ma questi concorsi (Invalsi,
Pisa, C1), organizzati e vinti dagli ex presidi, ora “dirigenti scolastici”, vedono primeggiare anche il Sud. Dove - a Lecce e Reggio Calabria - il dirigente è donna. Due
donne, meridionali, in grado di organizzare e vincere gare e concorsi nazionali
e internazionali, sono in effetti fuori del cliché.
È questo che “ruga” a Gian Antonio Stella?
Il ragazzo del Sud studioso, che crede
agli studi, è un topos del Sud, dato
ricorrente se non proprio luogo comune letterario – il “Corriere della sera” e
“la Repubblica” non lo sanno, ma loro sanno poche cose, non interessa loro sapere,
sono “organi” d’informazione. Il Sud è mite e studioso, anche per questo è
vittima dei mafiosi, per quanto pochi e numerati. Protetto, bisogna dirlo, da
madri indulgenti.
Poi si perdono, nella fantasia di essere
Leonardo incompresi: il romanticismo della bravura si ritorce contro. Un
romanticismo forse innato, forse italico, di un’istruzione attardata. Che
deriva al sentimentalismo. Nella mitezza inerme – si dice al Sud il tradimento
degli intellettuali, ma è la loro mitezza. Salvo, poi, fare “il professore”, o
“la professoressa”. A Cuneo, o ad Aosta. Dopo trent’anni di precariato.
Perché
la cultura si fermò alle Alpi
Visto
oggi, nell’abominio - insomma, quasi: non sa fare i compiti a casa - e nella divisione,
sembra un miraggio. Ma il Mediterraneo fu a lungo unito, assimilandosi a Roma, e
produsse molti reperti culturali che fanno solida storia, leggi, filosofia, poesia,
retorica, architettura, strade, acquedotti… A Cartagine e in Libia e Numidia,
come in Egitto e in Siria, nelle Gallie, in Spagna e altrove: l’assimilazione fu
proficua. Ed è pure vero che i Romani imparavano presto e bene nei territori
sottomessi in cui c’era da imparare, e partire dalla Grecia, e poi in Libia, in
Egitto e nell’Oriente Medio, e dai culti religiosi.
Niente invece che si ricordi del Nord
Europa. Che non rifiutò l’assimilazione, contrariamente alla vulgata posticcia
di Arminio dopo Teotoburgo, se la seconda Roma nacque a Treviri. Ma non ne
seppe approfittare: non ne ha lasciato traccia Non per le creazioni dello spirito. Nemmeno
per i culti religiosi, per i quali Roma era di manica larga, e anzi ne era
ghiotta, adorava qualsiasi Dio. Molti spagnoli e molti africani, oltre che i “greci”,
quelli che saranno poi i bizantini levantini, si ricordano nelle storie, romane e non, per opere dell’ingegno, ma
nessun gallo o sassone.
leuzzi@antiit.eu
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