Duecento
delle 350 pagine sono su Berlusconi, perché (non) è quello che è. Con corredo
dei “giornali stranieri” - pure Eco, che ne sa più di ogni altro (ma allora è
ipocrisia?).
È
l’ultima delle raccolte periodiche delle “bustine di Minerva” sull’“Espresso” –
la penultima, ora c’è la postuma “Pape Satàn Aleppe” – con qualche articolo per
altri giornali, e il solito Eco non manca, sorridente, garbato, accurato. Ricco
di idee brillanti. La Neo Guerra. La “Summa” e la New Age, della chiesa
incluso. Lo squallore del giornalismo. La scintillante retorica della
prevaricazione, che in poche pagine, per lo più occupate da Tucidide, fa la
tara di tutti i Berlusconi - compreso quello dello stesso Eco.
C’è pure
qualche spessore politico. La percezione, quindici anni fa, della fine
dell’Europa: senza politica estera e di difesa è probabile la balcanizzazione,
lo sbriciolamento cioè in staterelli sudditi di questo o quel grande interesse.
E della islamizzazione inevitabile dell’Europa, per effetto della demografia. La
tragicommedia delle elezioni Usa, per quqalche evrso sempre aristofanesche: ora
lo scandalo è sui fondi della campagna elettorale, neri o bianchi, allora sull’adulterio.
Si dice per la correttezza o lealtà che impronta la politica Usa, una favola: il
motivo è il ricatto, esteso. Il che potrebbe voler dire, di nuovo, che è forte
negli Usa il senso morale, il rispetto della famiglia eccetera, ma non è vero,
quasi sempre no. Quasi sempre ci sono schiere di avvocati a percentuale che
montano le donne extraconiugali, segretarie, fidanzate, puttane, per i numerosi
benefici legati alla “denuncia”: memorie, interviste, passaggi in tv, servizi
fotografici, e la moltiplicazione delle tariffe per le professioniste – i giudici
condannano negli ultimi casi un risarcimento legale triplo di quello alle
vittime.
Ma
soprattutto c’è il pettegolezzo, nobilitato in gossip, che ha
soppiantato dalla rete ogni altra forma di comunicazione. Eco ne tentava una
prima semiologia. Ora “è la vittima che spettegola di sé”, parlando delle
proprie vicende in pubblico. Una volta l'eroe era segreto, e lasciava intendere
gesta spettacolari, impossibili. Oggi fa la coda alle emittenti tv, per
mostrare il culo, tutto quello che gli lasciano mostrare, non si pone limiti.
Ma, poi,
Eco non si esime dalla “politica”, passione dominante – cioè dal pettegolezzo
politico. Su Berlusconi non solo, fa anche di peggio, con insistenza.
Sguazzando, tra “Repubblica” e “L'Espresso”, in quel mondo, elzevirista,
irrealista, della bella scrittura, che lui stesso ridicolizza e i due giornali
erano nati per cancellare. Dicendo cose come: “Il vero elettorato di un partito
che si vuole riformista non è un fatto di masse popolari bensì di ceti
emergenti”, cioè quello che diceva, trent’anni prima, il “cinghialone” Craxi.
O: “Quella grande e benedetta pace del primo mondo che si chiamava Guerra
Fredda e che tutti rimpiangiamo”. Che non è una battuta, è il nocciolo della
questione: Eco la rimpiange, insospettatamente trinariuciuto.
Riletto a
distanza, c'è in questa raccolta visibile il vizio della sinistra politica dopo
la caduta del Muro, che ha finito per interiorizzare il residuo più velenoso
del Pci dopo Togliatti, il berlinguerismo. Di quelli che non sono nulla, e
rubano pure, ma “per il Partito”, ovvio, e si dicono popolo eletto. Si resta
sbalorditi di fronte alla sicumera con cui uno studioso fra i più accurati
della comunicazione, sensibile, ironico, dissacratore, distribuisce scemenze, e
perfino falsità. Sul terrorismo, per esempio. O sul globalismo - ma, mi
raccomando, niente Pericolo Giallo: il no global è per lui la coscienza del
mondo – dell’Ottocento, del nazionalismo, dei primati? Come se si compiacesse
di fare lui il passo del gambero.
Umberto Eco, A passo di gambero, Corriere della sera, pp. 349 € 9,90
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