mercoledì 31 agosto 2016

Eco trinariciuto

Duecento delle 350 pagine sono su Berlusconi, perché (non) è quello che è. Con corredo dei “giornali stranieri” - pure Eco, che ne sa più di ogni altro (ma allora è ipocrisia?).
È l’ultima delle raccolte periodiche delle “bustine di Minerva” sull’“Espresso” – la penultima, ora c’è la postuma “Pape Satàn Aleppe” – con qualche articolo per altri giornali, e il solito Eco non manca, sorridente, garbato, accurato. Ricco di idee brillanti. La Neo Guerra. La “Summa” e la New Age, della chiesa incluso. Lo squallore del giornalismo. La scintillante retorica della prevaricazione, che in poche pagine, per lo più occupate da Tucidide, fa la tara di tutti i Berlusconi - compreso quello dello stesso Eco.
C’è pure qualche spessore politico. La percezione, quindici anni fa, della fine dell’Europa: senza politica estera e di difesa è probabile la balcanizzazione, lo sbriciolamento cioè in staterelli sudditi di questo o quel grande interesse. E della islamizzazione inevitabile dell’Europa, per effetto della demografia. La tragicommedia delle elezioni Usa, per quqalche evrso sempre aristofanesche: ora lo scandalo è sui fondi della campagna elettorale, neri o bianchi, allora sull’adulterio. Si dice per la correttezza o lealtà che impronta la politica Usa, una favola: il motivo è il ricatto, esteso. Il che potrebbe voler dire, di nuovo, che è forte negli Usa il senso morale, il rispetto della famiglia eccetera, ma non è vero, quasi sempre no. Quasi sempre ci sono schiere di avvocati a percentuale che montano le donne extraconiugali, segretarie, fidanzate, puttane, per i numerosi benefici legati alla “denuncia”: memorie, interviste, passaggi in tv, servizi fotografici, e la moltiplicazione delle tariffe per le professioniste – i giudici condannano negli ultimi casi un risarcimento legale triplo di quello alle vittime.
Ma soprattutto c’è il pettegolezzo, nobilitato in gossip, che ha soppiantato dalla rete ogni altra forma di comunicazione. Eco ne tentava una prima semiologia. Ora “è la vittima che spettegola di sé”, parlando delle proprie vicende in pubblico. Una volta l'eroe era segreto, e lasciava intendere gesta spettacolari, impossibili. Oggi fa la coda alle emittenti tv, per mostrare il culo, tutto quello che gli lasciano mostrare, non si pone limiti.
Ma, poi, Eco non si esime dalla “politica”, passione dominante – cioè dal pettegolezzo politico. Su Berlusconi non solo, fa anche di peggio, con insistenza. Sguazzando, tra “Repubblica” e “L'Espresso”, in quel mondo, elzevirista, irrealista, della bella scrittura, che lui stesso ridicolizza e i due giornali erano nati per cancellare. Dicendo cose come: “Il vero elettorato di un partito che si vuole riformista non è un fatto di masse popolari bensì di ceti emergenti”, cioè quello che diceva, trent’anni prima, il “cinghialone” Craxi. O: “Quella grande e benedetta pace del primo mondo che si chiamava Guerra Fredda e che tutti rimpiangiamo”. Che non è una battuta, è il nocciolo della questione: Eco la rimpiange, insospettatamente trinariuciuto.
Riletto a distanza, c'è in questa raccolta visibile il vizio della sinistra politica dopo la caduta del Muro, che ha finito per interiorizzare il residuo più velenoso del Pci dopo Togliatti, il berlinguerismo. Di quelli che non sono nulla, e rubano pure, ma “per il Partito”, ovvio, e si dicono popolo eletto. Si resta sbalorditi di fronte alla sicumera con cui uno studioso fra i più accurati della comunicazione, sensibile, ironico, dissacratore, distribuisce scemenze, e perfino falsità. Sul terrorismo, per esempio. O sul globalismo - ma, mi raccomando, niente Pericolo Giallo: il no global è per lui la coscienza del mondo – dell’Ottocento, del nazionalismo, dei primati? Come se si compiacesse di fare lui il passo del gambero.
Umberto Eco, A passo di gambero, Corriere della sera, pp. 349 € 9,90

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