Franca Rame fu vittima per anni, anzi
decenni, del sessismo. Delle destre e non solo. Dei milanesi e non solo. E
forse vittima di stupro sotto gli occhi degli ufficiali dei Carabinieri della “Pastrengo”
a Milano. Ora Dario Fo fa il sessista con Maria Elena Boschi e se ne vanta: la
vignetta del “Fatto” che la esibisce tutta cosce è “bellissima”, dice, e di suo la
ingrandisce in un quadro instant, che
mette in vendita a ottomila euro. Un atto politico, dice, per finanziare Grillo.
Le cattive amicizie colpiscono pure in vecchiaia.
È anche un ritorno alle origini, per
Fo come per Travaglio, per i tanti grillini che ieri danzavano con Fini, e i (purtroppo
residuali) lettori del “Fatto”. Dare del
fascista è vecchio vezzo linguistico, inutile. Non, però, se ci sono delle
pietre miliari.
Definendo l’antisessismo “un tentativo
di censura” Fo strafa. Ma non per un
errore. Fo fascista non sarebbe un gioco di parole, lo fu di fatto a vent’anni.
E una volta fascisti, fascisti per sempre? Sarebbe un interessate caso di
sociologia politica.
Resta Grillo, che questa implosione
governa, e fa finta di niente: in realtà ne è il complice e anzi l’ispiratore, uno
che si finanzia con le cosce delle donne. Che il suo populismo fosse di quello
stampo si sapeva per molte evidenze: l’“origine” di molti dei suoi, e l’apparentamento
da lui voluto a Strasburgo con Farage e le destre d’ogni bordo invece che con i
Verdi. Ma ora è inequivocabile: nel sessismo e nel disprezzo delle leggi dei
suoi amministratori eletti – nonché nei sorrisi beati di Raggi in tutti gli
ambienti romani di destra cogniti: bar, librerie, centri culturali, vicini di
quartiere.
Questo caso è già noto agli studi di
politica, che i moralizzatori di un certo stampo sono i più corrotti: autoritari
e anzi violenti – in Italia con le armi della “Legge”, ma questo è solo
un’aggravante l’uso politico della giustizia a opera degli stessi giudici.
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