Una delle prime “Sicilie senza giustizia”
– un topos (luogo comune
giornalistico, ma anche storico e letterario) post-unitario: “Vacilla la fede
nella giustizia legale; anzi non vacilla, manca addirittura”, Che spopolò sul
“Giornale di Sicilia” per 239 puntate, un recod, tra il 1909 e il 1910. Uno
storione ben siciliano, benché l’autore venisse da Patti e Messina, ambienti
marginali all’isola. E si celasse sotto un pseudonimo inglese, Wiliam Galt, un nome
d’arte che rinvia a Walter Scott - bizzaramente trascurato nel revival (rinviava Manzoni, e duque
Natoli). Che coinvolge tutta l’isola, tra Palermo. Catania e Messina. Ma l’intrigo
prevale qui sulla vicenda storica, l’intrigo e il complotto più che il destino eroico:
uno stotione più gotico che storico. Stiracchiato, troppo.
L’edizione princeps di Flaccovio nel 1977, che ridiede il giusto nome
all’autore, è ancora più avvolgente. Le quasi 1.400 pagine proponendo a due
colonne, come usava nei vecchi fogli di colportage,
con la “revisione letteraria” di
Giovanni Mormile - la nuova introduzione di Maurizio Barbato ne segue la vicenda
editoriale. Corredate da molte illustrazioni tratte dalla collezione di stampe
di Rosario Lo Duca. Con una prefazione di Eco, “«I Beati Paoli» e l’ideologia
del romanzo «popolare»”. Un saggio stotico e bio-bibliografico dello stesso Lo
Duca. Una nota di Mormile. E un sottotitolo forse deviante, “Grande romanzo
storico siciliano”.
Lo Duca, un ingegnere e deputato
comunista che fu storivo dell’arte e collezionista, inscrive Natoli in una
tradizione orale dei Beati Paoli che dice viva ancora all’epoca, negli anni
1970: una società popolarmente intesa di giustizieri e non di sicari. Che sono
invece i protagonisti degli intrighi di Natoli, il quale si sarebbe puuttosto
ispirato a uno degli “Opuscoli palermitani” del marchese di Villabianca, secondo
Settecento. Ma inscrive Natoli nel romanzo d’appendice come lo configura Gramsci,
del fantasticare popolare – una sorta di “romanzo familiare” popolare si sarebbe
detto con terminologia psicoanalitica: il “complesso d’inferiorità sociale”,
argomenta Gramsci, alimenta sogni di vendette e punizione. Uno stimoante e
insieme un narcotico, che esime dalla rivolta.
È la chiave di Eco: non un romanzo storico
ma un romanzo “popolare”: “I suoi ascendenti non sono Guerrazzi, Cantù, o
D’Azeglio, ma Dumas, Süe o per restare in Italia Luigi Gramegna” (Luigi
Gramegna…). E il “romanzo popolare francese” in particolare, malgrado lo pseudonimo
scottiano. Il filone che comincia in Francia, stabilisce Eco, nel 1823 col “Museo
delle famiglie” di Émile de Girardin, e subito s’illustra con “I misteri di Parigi”,
molto Dumas e molto Victor Hugo.
Ma non c’è solo Gramegna, Eco dà sfogo
in anteprima alla “passione per la falsificazione”, per il teatro di teatro:
“Dalla Compagnia di Gesù come viene presentata nell’«Ebreo errante» di Süe,
agli Abiti Neri di Ponson du Terrail, ai figli di Kali, sempre im Ponson du
Terrail, al patto di sangue dei Tre Moschettieri, dai Tredici balzacchiani ai
nostri Beati Paoli, la società segreta è la maschera dell’eroe e ne è al
contempo il braccio secolare”.
Il marchese di Vilabianca è il meno
colpevole. Funzionario pubblico, dilettante di storia locale, onoato anche da Sciascia,
storicizza i Beati Paoli, in uno degli “Opuscoli palermitani”, il XVImo: li
dice una setta creata per reazione alla dominazione normanna. Che invece in
Sicilia non ci fu, anzi, non fu una dominazione prolungata, tale da suscitare
un’opposizione popolare, né una reazione. Il marchese racconta, su questo e
altri inciampi storici, personaggi e vicende senza spessore, ridicoli semmai e
niente affatto terificanti, ma la voglia di incattivirsi faceva aggio già ai suoi
anni.
In
francese un classico
Un romanzo d’intrecci vari e avventure, agnizioni,
disconoscimenti, equivoci, fughe, duelli, soperchierie, tradimenti, vendette,
tra il 1698 e il 1719. Quando la Sicilia, col trattato di Utrecht (1713), viene
passata dalla Spagna ai Savoia, e poi sarà contesa tra Spagna e Austria, con
grande messe di baroni locali e gente di mano. Roba di un secolo fa, ma è quasi
una prima, dopo l’edizione Flaccovio del 1977, passata incognita agli atti.
Natoli, relegato in Italia, prima di
questa edizione, alle familiari patriottiche “I Buoni Cugini”, è autore di
culto in Francia. Proposto dopo l’edizione in volume del 1977 da Jean-Noel
Schifano, vi ha conosciuto una fortuna durevole, a differenza che in Italia, “I
Beati Paoli” insieme con i sequel “La
caduta di Messina” e “Coriolano della Foresta”. Ripubblicato in edizione
tascabile, in tre volumi, a ogni decennio dal 1991. Con traduttori nuovi
d’eccezione, che figurano coautori dei tre volumi: Maruzza Loria, Serge
Quadruppani e Jacqueline Huet. Preceduto da un’eulogia fuori posto di Schifano,
che lo presentò all’edizione del 1991 apparentandolo ai “classici” italiani
contemporanei, dopo “I promessi sposi” e “I viceré”: al “Nome della rosa” e
alla “Storia” della Morante. Ma il successo c’è stato, ed è durevole.
In Italia è finito invece nel calderone
della mafia. Auspice lo stesso Sciascia. L’edizione Flaccovio fu accolta male,
cioè bene. Relegata nel “culto” pervasivo della mafia che in quegli anni si affermava,
per le mattanze di Cosa Nostra e dei Corleonesi e la saga di Coppola, e per il
filone aperto da Sciascia con ”Il giorno della civetta”, il cui splendore finì
per riversarsi su quelli che poi abbiamo visto essere i Riina e i Provenzano. Sciascia
recensì il reperto, cominciando col dire che non si può non leggere Natoli se
si vuole capire cosa è “essere siciliani”, per poi affossare il romanzone e l’autore
nell’orrenda sintesi – elogiativa - del “tutto è mafia”: “Coi romanzi di Natoli
si può dire che arriviamo a scoprire la mafia come vera profonda inalterata
costituzione”.
Luigi Natoli (“William Galt”), I Beati Paoli, Sellerio, 2 voll., pp. 1255 € 25
La vecchia edizione Flaccovio è riedita
da Sellerio, la nuova di Flaccovio è preceduta da una mappa ragionata di
Palermo all’epoca della storia, di Adriana Chirco.
L’edizione Newton Compton riproduce
Natoli tal quale, come un libro di avventure.
Newton Compton, pp. 960 € 9,90
Flaccovio, pp. XXIX- 702, ill. € 26
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