mercoledì 3 agosto 2016

Il ladro è allegro, la spia triste

È la storia di un colpo audace, al protettissimo museo Topkapi di Istanbul, e di un temuto golpe o atto terroristico. Che una banda di criminali e la polizia turca conducono in parallelo. È il romanzo della spia suo malgrado, che era e resta povero, anche di spirito. Ribattezzato in traduzione col titolo del film famoso del 1964 di Jules Dassin. Ma il film è brillante, il romanzo triste.
È la traduzione di “The Light of the Day”. Un borsaiolo egiziano, che si finge inglese e opera sui turisti che arrivano ad Atene, viene ingaggiato, da una sua vittima che l’ha scoperto e lo ricatta, per il at per il colpo del secolo al muso Topkapi di Istanbul. Ma lo ricatta anche la polizia, con la quale non potrà non collaborare, che per altri motivi segue il gruppo di cui è entrato a fare parte. Il film si ricorda più agile e caratterizzato dell’originale di Amber. Ma qui è la radice di tutta la letteratura spionistica del Grande Freddo, o della guerra fredda: un mondo dolente e rassegnato, più che avventuroso. Anticipatore, anche se di pochi mesi, del più famoso Smiley, “la spia che venne dal freddo” di Le Carrè, e dei cloni di Smiley.
Il vero plot naturalmente non è il furto del Topkapi. Ovvero sì, ma intrecciato con altri più avventurosi. La chiave è che nessuno è quello che appare. Eccetto lo spione, che per definizione non lo è.
Curiosamente, oggi come sessant’Anni fa, la Turchia postbellica è tra il qua e il là: dà l’idea di essere familiare e insieme remota e estranea. Per un fondo di durezza sugli splendori del Bosforo, e per una concezione al fondo di diversità.
Eric Ambler, Topkapi, Adelphi, pp. 241 € 18

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