lunedì 1 agosto 2016

Il Lettore non sarà l’Autore

L’argomento è se il libro è dell’Autore, del Lettore, oppure del Libro stesso, magari piatto e insonoro, ma sempre vigile e trasformista. Il trattato, corrispondentemente, è ponderoso. Ma snello: in comodi capitoletti, genere “diario minimo”, o “la bustina di Minerva”: agili e comprensibili. Con Eco al meglio, aneddotico e beffardo – la sua sarà la filosofia del riso (non inseguì sempre il comico, la parte smarrita della Poetica di Aristotele?). Il divertimento è assicurato, anche per le punte che gli Esegeti non mancano di scambiarsi – la mia meglio della tua, etc. Anche quelli contrari all’esegesi stessa, come Eco da ultimo – ma solo in parte, in realtà: insomma, anche lui,  “con juicio”.
 “Bisogna iniziare ogni discorso sulla libertà dell’interpretazione dalla difesa del senso letterale”. Eco è – era nel 1990, alla prima edizione – per il ritorno all’ordine, in difesa dell’Opera. A fronte di un decostruzionismo dilagante come lego. Un gioco, ma crudele, assottigliando l’Autore e l’Opera, quando non li cancella(va). Da ultimo Eco sarà tassativo: “Devono esserci, da qualche parte, dei criteri per limitare l’interpretazione”.
Una bella Kehre, una curva anzi a U, rispetto all’ “Opera aperta”, con cui Eco aveva debuttato in semiologia nel 1962. Assiduo di Peirce, e quindi della “interpretazione illimitata”. Ma non una novità assoluta nel 1990. In “Lector in fabula”, 1979, aveva manifestato già un ripensamento. Finché col “Pendolo di Foucault”, subito seguito da questi “Limiti”, l’interpretazione gli venne in uggia. Anzi fastidiosa al massimo, ricorda – ma già nel 1967, aggiornando “Opera aperta” dopo la scoperta di Jakobson, Barthes, i formalisti russi e lo strutturalismo francese (la sua formazione era tomistica e logica), Eco aveva cominciato ad avere dubbi.
L’argomento si risolve in un formidabile, curatissimo, caleidoscopio di intrighi e intenzioni, tranelli, sgambetti, tradimenti, quasi una poetica dell’inaffidabilità. Coi riferimenti d’obbligo a Dante, Poe, Joyce, anche a Borges, nonché agli innumerevoli storici e critici accademici della letteratura, normalmente Americani – sono quelli che f anno testo anche se non lo sappiamo: loro hanno l’università dominante e il dibattito è accademico, molto. Fino alla “falsificazione delle misinterpretazioni, che si gusta come “Altrimenti ci arrabbiamo”, un film di Bud Spencer e Terence Hill.
Si trova qui anche, meglio, più accurata, che nel “Pendolo di Foucault”, la critica della “semiosi ermetica” che ci affligge, la politica più che la letteratura: del mistero, il segreto, il complotto, .  
Umberto Eco, I limiti dell’interpretazione, La Nave di Teseo, pp. 471 € 16

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