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lunedì 29 agosto 2016

Il mondo com'è (274)

astolfo

Burkini  - È una sfida. Così come il velo, il cui uso in Europa è in realtà un riuso, e un gesto quasi politico – unA sfida.  
In Francia, in Germania, in Inghilterra, in Olanda, in Belgio, dove le comunità islamiche sono da tempo installate, da due e anche tre generazioni, e in Italia fino a qualche anno fa, il velo era dismesso. Ora è esibito, più spesso a iniziativa della donna, e non ha altro senso che di sfida, l’uso essendo poco pratico e anzi punitivo..
Due generazioni fa nel quartiere tunisino di Marsala le donne si aggiravano liberamente - in genere sempre in strada o sui gradini di casa a chiacchierare, mentre i mariti lavoravano in mare. Dopo due generazioni, e una modernizzazione forzata, forzatissima, ora in tutta la Sicilia le musulmane esibiscono complesse velature, anche con il caldo asfissiante. Né si tratta d un abbigliamento “tradizionale”: è un abbigliamento restrittivo copiato al alcune pasionarie islamiche, che non ha riscontro nelle collezioni di costumi tradizionali.
Storicamente, si sa che la velatura delle donne è entrata nell’islam per influenze cristiane orientali. Il “Corano” prescrive in più occasioni (preghiera, pellegrinaggio, fidanzamento) l’obbligo per la donna di mostrarsi non velata. Ed elenca una serie di parenti mahram, cioè congiunti con i quali il matrimonio è interdetto,  con i quali convivere senza velo: suocera, nuora, figlia, figliastra, nipote e altre ascendenti e discendenti.

Le interdizioni islamiche in genere sono variabili. Con alcune costanti: cibarsi del maiale, o di animali non macellati ritualmente, riprodurre, detenere, usare immagini. Altre sono variabili, anche la proibizione dell’alcol – il “Corano” considera il vino “un buon alimento”, che poi proibisce per evitare l’ubriachezza alla preghiera. Variabili sono le proibizioni dell’argenteria – nonché dei gioielli indossati da uomini. Del gioco d’azzardo. Del prestito a interesse. Della musica, canto e danza. Dei “santi”. Dell’abbigliamento non c’è verbo.

Giornalismo – Si vogliono i fatti separati dalle opinioni, secondo precetto nobile, si dice, anglosassone. Come se il fatto, la “notizia”, non fosse un’opinione nel taglio, la tempestività (il tempo), la posizione. Del resto, altra massima anglosassone non è che “notizia mangia notizia”? Si può governarle come si vuole, non è difficile: le agenzie di pr e immagine prosperano su questo: dare notizia è raccontare, lo storytelling in voga. Non solo le notizie  della politica o degli affari: le indiscrezioni, interviste, anticipazioni, spiegazioni (negare per confermare…). O del privato. Del gossip o pettegolezzo. C’è notizia e notizia, il fatto non è lo stesso. Anche la notizia del terremoto, per dire: già la sola presentazione (corpo e carattere del titolo, ampiezza, posizione…) ne muta la natura – muta il fatto.

Guerra fredda – Se ne diffonde la nostalgia, come di un cinquantennio di stabilità. Mentre fu un cinquantennio di guerre e disordini gravi. Due grandi guerre , in Corea e nel Vietnam. Invasioni disastrose, di Berlino,  l’Ungheria, la Cecoslovacchia, Cuba, di repressioni in Polonia e altrove, molti golpe sanguinosi in Sud America. Di stabilità nel senso che fu evitata la guerra nucleare, ma al costo di una spesa in armamenti spropositata.
Poligamia – È sfruttamento; chiunque lo vede in Italia, dove si pratica di fatto a spese delle donne che lavorano, badanti o aiuto domestico, a opera di oziosi e traffichini – somali, eritrei, nigeriani, senegalesi. Contro il “Corano”, che fa obbligo al marito di pagare una dote alla moglie e di provvedere ai suoi bisogni, ma tant’è.

Populismo – È forte e persistente soprattutto nella protesta. Violento anche, fino al terrorismo. Contro l’alta velocità, contro l’autostrada, contro l’aeroporto, contro la globalizzazione, contro la legge finanziaria. Dario Fo, che riassume tute le proteste, lo rivendica sull’“Espresso”, in risposta al sociologo della letteratura Marco Belpoliti: “Il letterato impiega il termine «populista » nell’accezione in voga da qualche anno in Italia, cioè quella di considerare il populismo una sorta di pretestuoso espediente per imbonire furbescamente una comunità di semplici creduloni facili ad essere gestiti con qualsiasi argomento”. Bene, il populismo lo rivendica: è la democrazia, dice Fo, la rivoluzione frncese – “un’ideologia caratteristica di movimento politico o artistico che vede nel popolo un modello etico e sociale e il rispetto di ogni individuo che faccia parte di una comunità civile”. Civile è la spia del populismo.

Quantitative easing – Ha funzionato negli Usa e in Gran Bretagna: la creazione di moneta ha assorbito rapidamente lo shock della crisi finanziaria del 2007, facilitando il recupero del crac per le due economie e una pronta ripresa. In Giappone l’effetto non è stato percepibile, in parte per il peso elevato del debito, il 230 per cento del pil, e in parte  perché è l’ultimo di una serie ormai ventennale di stimoli, che non  smuovono la stagnazione dell’economia. In Europa ha disinnescato la crisi del debito, che minacciava l’Italia, ma non ha avuto alcun effetto sull’economia produttiva – investimenti, produzione, consumi.

Era la politica monetaria di Silvio Gesell, economista dilettante ed eterodosso dei primi decenni del Novecento  – che l’eterodosso Pound, economista dilettante, naturalmente privilegiava: “La circolazione accelerata della moneta, quando tutti hanno qualcosa, significa un benessere maggiore che nella situazione costipata in cui molti non hanno nulla” (“L’ABC dell’economia”, a cura di G.Leuzzi, p. 79).
Gesell (1862-1930), che Pound dice sudamericano, è nato a Sankt Vith in Belgio e morto in Germania. Dove è stato ministro delle Finanze nei sette giorni di vita della Repubblica dei Consiglio di Monaco di Baviera nel 1919 - processato per alto tradimento, fu assolto perché nessuno lo prendeva sul serio. Se ne andò indignato in Argentina, dove continuò inascoltato la sua predicazione, e tornò in Europa quando il suo verbo trovò qualche eco nel Tirolo. La sua ricetta monetaria era, nell’essenza, spendere e non risparmiare, tesaurizzare, la moneta non spesa volendo tassata. Una velocità di circolazione proponeva della moneta senza limiti, senza privilegi o vincoli rispetto alle altre merci: “Quando regna la mancanza d denaro, basta un torchio per moltiplicarlo, e se ce n’è troppo, una stufa per bruciarlo”.
Con una base filosofica non peregrina: i debiti si dissolvono, i crediti pure – si guadagna nei passaggi intermedi, sapendoli giocare. Il risparmio viene in ogni circostanza sottilizzato, e non solo se investito, come è uso per la maggiore quantità, in titoli di Stato: qualsiasi forma prenda. Il quantitative easing non allevia direttamente il debitore-creditore, ma sì attraverso le banche, che vivono di questo, di intermediare la creazione di moneta – vivevano, quando avevano una funzione monetaria: ora vivono delle commissioni che le leggi impongono a ogni cittadino, con la scusa di impedire il riciclaggio (di che?).

Samoiedi – Nell’antichità di Alessandro Magno erano i popoli al di là delle Porte di Ferro – gli Urali – che morivano ogni inverno ghiacciati in trance, e resuscitavano il 24 aprile, col ritorno del sole. Hanno mutato di poco collocazione nei secoli.
La parola significa “quelli che si mangiano tra di loro” secondo Corrado Alvaro, “I maestri del diluvio”, 1934, e per questo sono stati ribattezzati yakuti. Un’etimologia probabilmente sbagliata, anche se per il resto Alvaro è esatto. Ma è vero che vivono in Europa, insomma in Siberia, tribù primitive con questo nome. Ancora a fine anni 1960, attesta Enzensberger (“Tumulto”) per bocca di un ingegnere di Bakù sposato a una osseta, “tra i samoiedi ci sono ancora gli sciamani”. La Treccani attesta l’uso tra essi della caccia con arco e coltelli,e presso ogni tribù la presenza di un “tatibé”, uno stregone o sciamano. Anche se, dice, “gli sciaitàn, gl’idoli indigeni che accompagnavano i Samoiedi su piccole slitte anche nella loro peregrinazione o venivano piantati presso le tombe o sui luoghi dei sacrifici, sono probabilmente tutti nei musei”. Così come l’uso di uccidere le renne destinare all’alimentazione mediante strangolamento e poi sgozzamento, “probabilmente per motivi magici”. E di castrare i vitelli a morsi.
Fino a recente abbandonavano nella tundra i morti, senza sepoltura – un uso, dice l’Enciclopedia, dei climi freddi.

astolfo@antiit.eu

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