Burkini - È una sfida. Così come il
velo, il cui uso in Europa è in realtà un riuso, e un gesto quasi politico –
unA sfida.
In
Francia, in Germania, in Inghilterra, in Olanda, in Belgio, dove le comunità
islamiche sono da tempo installate, da due e anche tre generazioni, e in Italia
fino a qualche anno fa, il velo era dismesso. Ora è esibito, più spesso a
iniziativa della donna, e non ha altro senso che di sfida, l’uso essendo poco pratico
e anzi punitivo..
Due
generazioni fa nel quartiere tunisino di Marsala le donne si aggiravano liberamente
- in genere sempre in strada o sui gradini di casa a chiacchierare, mentre i
mariti lavoravano in mare. Dopo due generazioni, e una modernizzazione forzata,
forzatissima, ora in tutta la Sicilia le musulmane esibiscono complesse
velature, anche con il caldo asfissiante. Né si tratta d un abbigliamento “tradizionale”:
è un abbigliamento restrittivo copiato al alcune pasionarie islamiche, che non
ha riscontro nelle collezioni di costumi tradizionali.
Storicamente,
si sa che la velatura delle donne è entrata nell’islam per influenze cristiane
orientali. Il “Corano” prescrive in più occasioni (preghiera, pellegrinaggio,
fidanzamento) l’obbligo per la donna di mostrarsi non velata. Ed elenca una
serie di parenti mahram, cioè congiunti
con i quali il matrimonio è interdetto, con
i quali convivere senza velo: suocera, nuora, figlia, figliastra, nipote e
altre ascendenti e discendenti.
Le
interdizioni islamiche in genere sono variabili. Con alcune costanti: cibarsi
del maiale, o di animali non macellati ritualmente, riprodurre, detenere, usare
immagini. Altre sono variabili, anche la proibizione dell’alcol – il “Corano”
considera il vino “un buon alimento”, che poi proibisce per evitare l’ubriachezza
alla preghiera. Variabili sono le proibizioni dell’argenteria – nonché dei gioielli
indossati da uomini. Del gioco d’azzardo. Del prestito a interesse. Della
musica, canto e danza. Dei “santi”. Dell’abbigliamento non c’è verbo.
Giornalismo – Si vogliono i fatti separati dalle opinioni,
secondo precetto nobile, si dice, anglosassone. Come se il fatto, la “notizia”,
non fosse un’opinione nel taglio, la tempestività (il tempo), la posizione. Del
resto, altra massima anglosassone non è che “notizia mangia notizia”? Si può
governarle come si vuole, non è difficile: le agenzie di pr e immagine prosperano
su questo: dare notizia è raccontare, lo storytelling
in voga. Non solo le notizie della politica
o degli affari: le indiscrezioni, interviste, anticipazioni, spiegazioni
(negare per confermare…). O del privato. Del gossip o pettegolezzo. C’è notizia e notizia, il fatto non è lo
stesso. Anche la notizia del terremoto, per dire: già la sola presentazione
(corpo e carattere del titolo, ampiezza, posizione…) ne muta la natura – muta
il fatto.
Guerra
fredda – Se ne
diffonde la nostalgia, come di un cinquantennio di stabilità. Mentre fu un cinquantennio
di guerre e disordini gravi. Due grandi guerre , in Corea e nel Vietnam. Invasioni
disastrose, di Berlino, l’Ungheria, la
Cecoslovacchia, Cuba, di repressioni in Polonia e altrove, molti golpe
sanguinosi in Sud America. Di stabilità nel senso che fu evitata la guerra nucleare,
ma al costo di una spesa in armamenti spropositata.
Poligamia – È sfruttamento; chiunque lo vede in Italia,
dove si pratica di fatto a spese delle donne che lavorano, badanti o aiuto
domestico, a opera di oziosi e traffichini – somali, eritrei, nigeriani, senegalesi.
Contro il “Corano”, che fa obbligo al marito di pagare una dote alla moglie e
di provvedere ai suoi bisogni, ma tant’è.
Populismo – È forte e persistente soprattutto nella protesta.
Violento anche, fino al terrorismo. Contro l’alta velocità, contro
l’autostrada, contro l’aeroporto, contro la globalizzazione, contro la legge
finanziaria. Dario Fo, che riassume tute le proteste, lo rivendica sull’“Espresso”,
in risposta al sociologo della letteratura Marco Belpoliti: “Il letterato
impiega il termine «populista
» nell’accezione in voga da qualche anno in Italia, cioè quella di considerare
il populismo una sorta di pretestuoso espediente per imbonire furbescamente una
comunità di semplici creduloni facili ad essere gestiti con qualsiasi
argomento”. Bene, il populismo lo rivendica: è la democrazia, dice Fo, la
rivoluzione frncese – “un’ideologia caratteristica di movimento politico o
artistico che vede nel popolo un modello etico e sociale e il rispetto di ogni
individuo che faccia parte di una comunità civile”. Civile è la spia del
populismo.
Quantitative easing – Ha funzionato negli Usa e
in Gran Bretagna: la creazione di moneta ha assorbito rapidamente lo shock della crisi finanziaria del 2007, facilitando
il recupero del crac per le due economie e una pronta ripresa. In Giappone
l’effetto non è stato percepibile, in parte per il peso elevato del debito, il
230 per cento del pil, e in parte perché
è l’ultimo di una serie ormai ventennale di stimoli, che non smuovono la stagnazione dell’economia. In
Europa ha disinnescato la crisi del debito, che minacciava l’Italia, ma non ha
avuto alcun effetto sull’economia produttiva – investimenti, produzione, consumi.
Era la
politica monetaria di Silvio Gesell, economista dilettante ed eterodosso dei
primi decenni del Novecento – che l’eterodosso
Pound, economista dilettante, naturalmente privilegiava: “La circolazione accelerata
della moneta, quando tutti hanno qualcosa, significa un benessere maggiore che
nella situazione costipata in cui molti non hanno nulla” (“L’ABC dell’economia”,
a cura di G.Leuzzi, p. 79).
Gesell
(1862-1930), che Pound dice sudamericano, è nato a Sankt Vith in Belgio e morto
in Germania. Dove è stato ministro delle Finanze nei sette giorni di vita della
Repubblica dei Consiglio di Monaco di Baviera nel 1919 - processato per alto
tradimento, fu assolto perché nessuno lo prendeva sul serio. Se ne andò indignato
in Argentina, dove continuò inascoltato la sua predicazione, e tornò in Europa
quando il suo verbo trovò qualche eco nel Tirolo. La sua ricetta monetaria era,
nell’essenza, spendere e non risparmiare, tesaurizzare, la moneta non spesa
volendo tassata. Una velocità di circolazione proponeva della moneta senza limiti,
senza privilegi o vincoli rispetto alle altre merci: “Quando regna la mancanza
d denaro, basta un torchio per moltiplicarlo, e se ce n’è troppo, una stufa per
bruciarlo”.
Con una
base filosofica non peregrina: i debiti si dissolvono, i crediti pure – si
guadagna nei passaggi intermedi, sapendoli giocare. Il risparmio viene in ogni
circostanza sottilizzato, e non solo se investito, come è uso per la maggiore
quantità, in titoli di Stato: qualsiasi forma prenda. Il quantitative easing non allevia direttamente il debitore-creditore,
ma sì attraverso le banche, che vivono di questo, di intermediare la creazione
di moneta – vivevano, quando avevano una funzione monetaria: ora vivono delle
commissioni che le leggi impongono a ogni cittadino, con la scusa di impedire il
riciclaggio (di che?).
Samoiedi – Nell’antichità di Alessandro Magno erano i
popoli al di là delle Porte di Ferro – gli Urali – che morivano ogni inverno
ghiacciati in trance, e resuscitavano
il 24 aprile, col ritorno del sole. Hanno mutato di poco collocazione nei secoli.
La parola significa “quelli che si mangiano tra di loro” secondo Corrado Alvaro, “I maestri del diluvio”, 1934, e per questo sono stati ribattezzati yakuti. Un’etimologia probabilmente sbagliata, anche se per il resto Alvaro è esatto. Ma è vero che vivono in Europa, insomma in Siberia, tribù primitive con questo nome. Ancora a fine anni 1960, attesta Enzensberger (“Tumulto”) per bocca di un ingegnere di Bakù sposato a una osseta, “tra i samoiedi ci sono ancora gli sciamani”. La Treccani attesta l’uso tra essi della caccia con arco e coltelli,e presso ogni tribù la presenza di un “tatibé”, uno stregone o sciamano. Anche se, dice, “gli sciaitàn, gl’idoli indigeni che accompagnavano i Samoiedi su piccole slitte anche nella loro peregrinazione o venivano piantati presso le tombe o sui luoghi dei sacrifici, sono probabilmente tutti nei musei”. Così come l’uso di uccidere le renne destinare all’alimentazione mediante strangolamento e poi sgozzamento, “probabilmente per motivi magici”. E di castrare i vitelli a morsi.
Fino a
recente abbandonavano nella tundra i morti, senza sepoltura – un uso, dice l’Enciclopedia,
dei climi freddi.La parola significa “quelli che si mangiano tra di loro” secondo Corrado Alvaro, “I maestri del diluvio”, 1934, e per questo sono stati ribattezzati yakuti. Un’etimologia probabilmente sbagliata, anche se per il resto Alvaro è esatto. Ma è vero che vivono in Europa, insomma in Siberia, tribù primitive con questo nome. Ancora a fine anni 1960, attesta Enzensberger (“Tumulto”) per bocca di un ingegnere di Bakù sposato a una osseta, “tra i samoiedi ci sono ancora gli sciamani”. La Treccani attesta l’uso tra essi della caccia con arco e coltelli,e presso ogni tribù la presenza di un “tatibé”, uno stregone o sciamano. Anche se, dice, “gli sciaitàn, gl’idoli indigeni che accompagnavano i Samoiedi su piccole slitte anche nella loro peregrinazione o venivano piantati presso le tombe o sui luoghi dei sacrifici, sono probabilmente tutti nei musei”. Così come l’uso di uccidere le renne destinare all’alimentazione mediante strangolamento e poi sgozzamento, “probabilmente per motivi magici”. E di castrare i vitelli a morsi.
astolfo@antiit.eu
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