Le lettere prendono una trentina di pagine,
Salvatore Mugno provvede al resto. Una corposa introduzione e una lunga vita
del personaggio, circostanziata, che si legge come un romanzo – anche se di personaggio a una sola dimensione, il sangue degli altri.
Mugno dubita dell’autenticità delle
lettere – anche noi, ogni lettore. Ma non dice l’ovvio: non le avrà scritte il
destinatario? Destinatario è un “professore”, forse di Filosofia, forse di
Lettere, che forse non lo è, lo è la moglie, ma si compiace di farlo credere, Tonino
Vaccarino, compaesano del latitante, noto eccentrico di Castelvetrano, di cui pure
è stato sindaco per un anno, con una spessa fedina penale. Da ultimo riciclatosi – qui il papocchio è
evidente – come informatore dei servizi segreti, dell’Aisi.
“Alessio”, così si firma Matteo Messina
Denaro, sa molto di anagramma, dell’Aisi stessa, e di assioma, termine che usa
spesso, spesso non congruamente. Oltre che all’assioma il latitante si compiace
di riferirsi a Malaussène-Pennac, Toni Negri e Jorge Amado. Insomma, uno
scherzo, quasi. Denaro è uno scrittore compulsivo di lettere, i suoi “pizzini”
al capomafia Provenzano erano lunghi pagine, dettagliati e prolissi. Di tale
natura che Camilleri ebbe a dirlo nel 2007, nel libro “Voi non sapete”, sulla
corrispondenza fitta di Provenzano, “il latinista del gruppo”. Ma corrispondere
con una spia per un furbo superlatitante è troppo, e in che termini poi, poco
meno che se si rivolgesse a un dio. La prosa di Vaccarino – che La Licata ha
variamente immortalato sulla “Stampa” – è peraltro della stessa pasta.
Un vero dramma siculo, alla Pirandello,
in cui ognuno è non si sa chi. Lo stesso Mugno, buon siciliano, non si priva di
evocare Cellini, Caravaggio, Stradella come precedenti in fatto di “binomio
artista-criminale” – c’è qui un artista? – e Villon, Genet, Gregory Corso, “fino
a certi nostri autori contemporanei
coinvolti in vicende omicidiarie: Massimo Carlotto, Adriano Sofri, Cesare
Battisti….” E qui è evidente che in Sicilia qualcosa non funziona – anche se
non può essere il sangue, come vuole Virgilio Titone, il polemista, anche lui
di Castelvetrano, il riferimento di Mugno (il sangue? Castelvetrano ha imponenti palazzi e
chiese, quella di san Domenico ricca di affreschi, “come la Cappella Sistina”, e
di un complesso vertiginoso di statue, nonché Selinunte, e tuttora è un centro produttivo di
prim’ordine, per l'evo pregiato Nocellara del Belìce).
Massimo Onofri successivamente a questa
pubblicazione ne ha avallato la veridicità. Ma il ridicolo della corrispondenza –
a maggior ragione se le “lettere a Svetonio” le ha scritte o fatte scrivere Matteo
Messina Denaro – svuota il terribilismo della mafia. Che è terribile solo nel
tiro a segno, o nel plastico, a tradimento, mai a viso aperto, per il resto
è sopraffazione, furfanteria e stupidità. E sicurezza di sé, soprattutto, quasi
in regime d’impunità. Il superlatitante che si dice un perseguitato – vittima della
mafia, a suo modo, anche lui – è un topos
ricorrente, ma in questo caso perfino argomentato. O stava trattando con “Alessio”
la resa, con i beni – una parte dei beni – in libero uso ai familiari, come con
i familiari di Provenzano
La vita-romanzo di Denaro prima della
lunga latitanza, ormai di venticinque anni, è semplice e fantastica. È figlio
di un mafioso, conosciuto per tale, che la famiglia, moglie, figli, nipoti, ogni
anno onora sul “Giornale di Sicilia” con un necrologio molto sentito – per un
paio d’anni, quelli di questa corrispondenza, con estratti di Lucrezio in latino. È autore di almeno cinquanta omicidi,
a partire dai diciotto anni – e probabilmente dei dieci morti e 106
feriti degli attentati del 1993 sul continente, ai Georgofili e gli Uffizi, a
via Palestro a Milano, a san Giovanni in Laterano e a san Giorgio al Velabro.
Ma fino ai trenta sconosciuto, comunque non perseguito. A tempo perso faceva il
gigolò – oggi toyboy – con altri coetanei di ricche signore di mezza età di Palermo.
Con molte amanti giovani strafiche, tra esse un’impiegata austriaca dell’Hotel
Paradise Beach, di cui farà uccidere il mite gestore, che scherzava sulle sue
imprese amatorie.
Latitante dal ‘93, da quando infine è
stato “scoperto”. Ma non senza lasciare
tracce, benché inafferrabile: si sa che è stato in una clinica oftalmica in Spagna,
e in vacanza con gli amici al Forte dei Marmi, assiduo di un bagno “Rossella”.
Il padre percepiva l’assegno di disoccupazione dell’Inps, e poi la pensione. Scherzando,
naturalmente, non si può affermare che i Denaro si nascondano.
Un interrogativo comunque va posto: perché
dire che “Svetonio”, al secolo Tonino Vaccarino, l’unica cosa certa di questa
corrispondenza, era dei servizi segreti, se lo era? Le liti tra i corpi separati,
polizie speciali, servizi, giudici, importano più del superlatitante?
Matteo Messina Denaro, Lettere a Svetonio, Stampa Alternativa,
remainders, pp.,127, ill., € 6
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