martedì 30 agosto 2016

In vacanza premio da Hitler sotto le bombe

“Addio Berlino. Sventrata, piegata, annientata, punita. Addio, ricordi di incubi, di incredibili attese, di notti insonni. Fame, sete, sporcizia, buio, terrore, puzzo, cimici, solitudine”. Alla fine, dopo i terribili anni della guerra, rintanati nella cantina con gli altri coinquilini, Helga, la matrigna e il fratellino lasciano Berlino, per l’Austria del padre. In lacrime: “Lascio una città che mi ha rifiutato tutto”, constata la scrittrice, e si chiede: “Una città che mi ha dato solo dolore, privazion, terrore, solitudine, tristezza, angoscia e disperazione. Perché piango?”
Helga Schneider ha avuto il tempo di scrivere “I miei vent’anni oltre «Il rogo di Berlino»”, ma questo lascia senza fiato. Lei stessa, a metà narrazione, se lo dice: “Il mondo non ha più nulla da offrirmi perché mi ha già preso tutto: l’infanzia, mia madre, mio padre, la nonna, mio fratello. Cosa mi resta? La fame, la sete, la paura, il freddo, la solitudine”. La sporcizia, il puzzo, le incontinenze, i ratti che si gonfiano di cadaveri, i cadaveri mutilati, senza testa, senza gambe, dissotterrati, nel cortile, la paura, delle SS, dei russi.
Una storia di privazioni. Degli affetti: di una madre fervida nazista che si arruola nelle Ss – e anche dopo, a guerra finita, oppone Hitler alla figlia – e di un padre mobilitato assente, di un fratellino capriccioso. Del cibo, dei giochi, dell’aria, della pulizia, della decenza. Fino alla liberazione, a opera di russi ladri e stupratori. Magistrale nel suo genere: la scrittrice, naturalizzata nel frattempo italiana, inaugurava vent’anni fa con successo il filone del racconto di disgrazie, a ogni pagina evidentemente più dure e gravose. Insostenibile - si continua a leggere giusto perché è raccontato in prima persona, e dunque una sopravvivenza è da aspettarsi.
In filigrana, indirette, molte notazioni di spessore storico. Il mammismo del maschio, che si pretende mediterraneo mentre è invece fortissimo – qui lo è – nelle tribù da poco sedentarizzate. Il mercato nero, che domina a Berlino ancora per un paio d’anni dopo la guerra. Il mercato nero durante la guerra, con le SS che pure controllano il respiro. La caccia pubblica all’ebreo, sistematica, ancora con i russi alla porta del Brandeburgo – non c’è tedesco che non abbia avuto un vicino o conoscente ebreo deportato. La follia, o stupidità: l’“armata del generale Wenck” sempre in arrivo per vincere la guerra, i ragazzi arruolati a combattere i carri armati in città con le bottiglie incendiarie, i bambini portati sotto le bombe in vacanza premio nel bunker di Hitler.
Helga Schneider, Il rogo di Berlino, Adelphi, pp. 228 € 11

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