Il “grande
mare”, come il Mediterraneo è riferito nella tradizione ebraica, non è nuovo
alle migrazioni. È sempre stato un crogiolo, un crocevia, eccetera – lo vuole
anche il nome, il “mare tra le terre”. Dov’è dunque la novità? Non c’è:
Abulafia, lo storico di Cambridge “italianato” (sue “Le due Italie”, 1977, un
apprezzato “Federico II” e molti saggi di storia italiana moderna), probabile migliore conoscitore
di tutto il Mediterraneo, in tutte le sue pieghe, costruisce
un atlante storico modello, dalle prime notizie storiche, il 3.500 a.C.(i
templi misteriosi di Malta) , a oggi, con cartine e illustrazioni, e questo è
il suo merito.
Particolare
è però l’impianto. Una sorta di indistinzione o egualitarismo storico. Nell’enfasi
costante per le diversità, etniche, linguistiche, religiose, politiche. Per cui
un’esperienza vale un’altra, che può disorientare – la storia ha dei percorsi,
e nella storia ci sono dei più e dei meno. E una periodizzazione originale, che
attrae ma alla fine sconcerta. In cinque parti, di cui le due ultime – “il
quarto Mediterraneo (1350-1830)” e “Il quinto Mediterraneo (1830-2010)” - legano
e affossano esperienze storiche complesse e variegate. La caduta di Costantinopoli
da sola non è un nodo come un altro, o la presenza veneziana nell’Adriatico e
il Mediterraneo orientale, fino a lambire l’Egeo.
Un libro di
lettura in realtà, più che un atlante storico ragionato. Che si fa scorrere
come se fosse una scoperta, con personaggi e avventure colorite. Un atto di
nostalgia, di un israeliano confinato a Cambridge, che Abulafia dedica “alla
memoria degli antenati”.
David Abulafia, Il grande mare. Storia del mediterraneo, Mondadori, pp. 695, ill. €
25
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