Il libro scandalo della Grande Guerra,
la prima cosa che Hitler proibì. Ma è anche il più semplice. La vita al fronte di un piccolo gruppo di
compagni di scuola, diciottenni volontari, convinti all’arruolamento dai soliti
solidi benpensanti delle retrovie. Esperienza comune all’epoca, intere
scolaresche venivano invogliate ad arruolarsi volontarie. Ragazzi che non
avevano ancora una vita, e i lunghi anni
di guerra deprivano della possibilità di averne una: “Un po’ di entusiasmo,
qualche passione da dilettanti e la scuola; la nostra vita non andava ancora
più in là. E di tutto ciò non è rimasto nulla”.
Un racconto di camerateria “vero”:
Remarque, che si è ribattezzato Maria in memoria della madre (il cognome
translitterando da Remark in Remarque perché così lo scriveva il nonno), faceva
in realtà Paul di nome, come il narratore.
Un racconto lineare, senza l’enfasi
della sintassi asintattica, evocativa, invadente, di tante trattazioni di
guerra. Forse per questo considerato in Germania quattro anni dopo la
pubblicazione, nel 1933, pericoloso e
condannato, come il suo autore - Remarque, di famiglia cattolica, fu perfino
fatto d’autorità ebreo, Kramer di vero cognome – palindromo di Remark. La
semplicità è una retorica superiore, imbattibile. Remarque non è un pacifista
professo, e anzi fu ferito anche gravemente, e medagliato in guerra. Ma
scrivendone dieci anni dopo non sa spiegarsela, troppo balorda. La mote dell’amico,
la prima, è disgustosa. La disciplina militare assurda - “una mattina, ho
rifatto la branda quattordici volte di seguito”.
Una seconda ragione può essere che non
sembra un libro tedesco. Non ha niente della retorica sotterranea della
superiorità vinta dal caso. La guerra è sporca, disordinata, impreparata. Si
mandano al fronte giovanissimi senza addestramento. L’equipaggiamento è
pessimo, per chi non riesce s fare bottino delle ottime uniformi e calzature
francesi e inglesi – peggiore perfino di quello dei prigionieri russi che la
compagnia per un tratto deve accudire. .Il rancio è immangiabile, quello
francese da gourmet. Non c’è da
mangiare nemmeno a casa, in licenza – la famiglia divora le razioni militari.
Tutto ciò non è detto, il libro non è di
denuncia: Remarque non fa raffronti, descrive le cose. Ma è un colpo al mito
della superiorità tedesca, della cosiddetta egemonia naturale. Niente mai, in
nessuna battaglia, del messaggio sottinteso, della Germania imbattibile perché
ha il diritto di vincere la guerra.
Non antipatriottico. Mai “Paul” rileva
che combatte tutti gli anni di guerra in territorio nemico, e non in Germania,
nelle Fiandre e nel Nord della Francia. E le Fiandre sempre: non esiste i
belgi, anche se parlano e mangiano e bevono francese. Ma costante nel rilevare,
senza dirla, l’inutilità della guerra di posizione: dei soldati-massa,
bersaglio al fuoco e ferro distruttore dei cannoni, gli obici, le bombarde, le
mitragliatrici, le granate. In una compagnia in cui, dopo ogni azione, la metà
degli effettivi non risponde all’appello – una volta due terzi.
Erich Maria Remarque, Niente di nuovo sul fronte occidentale,
Corriere della sera, pp.239 € 7,90
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