La letteratura interrotta
L’amaro errare di un contemporaneista
senza più oggetto – di studio, di vita. Eccetto qualche sopravvissuto,
Arbasino, La Capria, e qualche amico, Biamonti, Atzeni, Ray. Non gli resta che
peregrinare all’indietro, nel vecchio-nuovo Novecento: D’Annuzio, ancora
D’Annunzio, Montale, Gadda, Landolfi, Pasolini, Zanzotto, Tomasi di Lampedusa,
e… Mario Novaro, “un taoista a capo Berta”. Ma gli umori sono cupi, in apertura
e in chiusura, e tra le righe, guardando alla patria da New York, tra l’autunno
del 2014 e l’inverno del 2015: ci hanno sottratto la letteratura. Anzi no,
nessun cattivo: la letteratura è semplicemente scomparsa. Non per fare
l’“apocalittico”, figurarsi. No, è che ci siamo insabbiati in un italiano
mediatico, senza spessore. Senza senso anche.
“Considerazioni su una letteratura
interrotta” è il sottotitolo. Ficara parte
bandendo le false prospettive. Non si tratta di distinguere tra Literatur e Trivialliteratur, tra alto e basso, “quanto di valori un tempo
equiparabili, oggi non più” – ma non è peggio? Né di fare da prefica sulle
sorti dell’Italia, come usa. Anche altrove le cose non si sentono bene:
“Nessuno, in effetti, potrebbe parlare di una tradizione relativamente continua tra Faulkner e Safran Foer”. Ma
in Italia è peggio: “I più emarginati degli emarginati, cioè molti tra i
giovani e giovanissimi romanzieri italiani, scrivono ormai in un altro italiano, più simile alla
traduzione da un succinto inglese che a quella lingua «altrettanto perfetta
quanto immensa» di cui parlava Leopardi”.
Lo studioso parte discutendo “le teorie
ormai classiche nel dibattito tra apocalittici e continuisti”. Non
sistematicamente, zigzagando tra Marx (William, quello della dévalorisation, della polemica francese
anti-globale, “L’adieu à la litérature”. ), Steiner, Berardinelli, cui si deve
una “Commeorazione provvisoria del critico militante” già venticinque anni fa, Todorov,
Ossola, Pahmuk, Onofri, Ferroni, Manica et al...
Ficara non è nuovo allo sdegno. Ma torto
non ha, se non che di lamentarsi – lo sdegno è rassegnato. Che altro può fare
il critico? Il contemporaneista, ex “militante”, può molto – potrebbe. “Critica
e preghiera “ è la sua ultima riflessione, leopardiana. A quale Dio? La prima
diserzione è della critica, anche accademica.
Giorgio Ficara, Lettere non italiane. Considerazioni su una letteratura interrotta,
Bompiani, pp. 334 € 13
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