sabato 13 agosto 2016

La letteratura interrotta

La letteratura interrotta
L’amaro errare di un contemporaneista senza più oggetto – di studio, di vita. Eccetto qualche sopravvissuto, Arbasino, La Capria, e qualche amico, Biamonti, Atzeni, Ray. Non gli resta che peregrinare all’indietro, nel vecchio-nuovo Novecento: D’Annuzio, ancora D’Annunzio, Montale, Gadda, Landolfi, Pasolini, Zanzotto, Tomasi di Lampedusa, e… Mario Novaro, “un taoista a capo Berta”. Ma gli umori sono cupi, in apertura e in chiusura, e tra le righe, guardando alla patria da New York, tra l’autunno del 2014 e l’inverno del 2015: ci hanno sottratto la letteratura. Anzi no, nessun cattivo: la letteratura è semplicemente scomparsa. Non per fare l’“apocalittico”, figurarsi. No, è che ci siamo insabbiati in un italiano mediatico, senza spessore. Senza senso anche.
“Considerazioni su una letteratura interrotta” è il sottotitolo. Ficara parte  bandendo le false prospettive. Non si tratta di distinguere tra Literatur e Trivialliteratur, tra alto e basso, “quanto di valori un tempo equiparabili, oggi non più” – ma non è peggio? Né di fare da prefica sulle sorti dell’Italia, come usa. Anche altrove le cose non si sentono bene: “Nessuno, in effetti, potrebbe parlare di una tradizione relativamente continua tra Faulkner e Safran Foer”. Ma in Italia è peggio: “I più emarginati degli emarginati, cioè molti tra i giovani e giovanissimi romanzieri italiani, scrivono ormai in un altro italiano, più simile alla traduzione da un succinto inglese che a quella lingua «altrettanto perfetta quanto immensa» di cui parlava Leopardi”.
Lo studioso parte discutendo “le teorie ormai classiche nel dibattito tra apocalittici e continuisti”. Non sistematicamente, zigzagando tra Marx (William, quello della dévalorisation, della polemica francese anti-globale, “L’adieu à la litérature”. ), Steiner, Berardinelli, cui si deve una “Commeorazione provvisoria del critico militante” già venticinque anni fa, Todorov, Ossola, Pahmuk, Onofri, Ferroni, Manica et al... 
Ficara non è nuovo allo sdegno. Ma torto non ha, se non che di lamentarsi – lo sdegno è rassegnato. Che altro può fare il critico? Il contemporaneista, ex “militante”, può molto – potrebbe. “Critica e preghiera “ è la sua ultima riflessione, leopardiana. A quale Dio? La prima diserzione è della critica, anche accademica.

Giorgio Ficara, Lettere non italiane. Considerazioni su una letteratura interrotta, Bompiani, pp. 334 € 13

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