Un apologo, ghino, ino ino,
sull’Italiano pusillanime: imbroglione, violento, cambia casacca, e sempre
fascista. Su fondo boccaccesco – la “biddrizza da fari spavento”,
venticinquenne vedova, vedova due volte riceve in casa, ogni amante un giorno. Con
una lettera di Giuseppina Torregrossa “Al Maestro”, per dare all’aneddoto consistenza
di libro, quindi con molto rigaggio.
Torregrossa ringrazia Camilleri di aver dato
cittadinanza alla parlata siciliana – che la scrittrice sembra ritenere una per
tutta l’isola - con “le “e” larghe come la piazza di Vigata”, e le “”o” strascicate
come la strata longa tra Vigata e Montelusa”. Ne è sicura Torregrossa, che il
Maestro ha esorcizzato il siciliano? Gli italiani potrebbero risentirsi, di
essere “targati” come nel racconto.
Torregrossa vuole anche insegnare a
Camilleri che non è vero che le donne eccitano gli uomini: gli uomini sono porci
senza bisogno di allettamenti. La Sicilia è meglio da vicino.
Andrea Camilleri, La targa, Rizzoli, pp. 87 € 10
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