mercoledì 17 agosto 2016

Letture - 270

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Acquario – Si liquidano le posizioni – l’età dell’Acquario è già finita (ma non doveva cominciare tra cinque secoli?) Dei 1.500 libri in inglese che Ibs liquida, quattro su cinque sono in tema.

Compagno – Aveva sostituito convivente, nelle relazioni more uxorio senza matrimonio. Ma se ne va perdendo l’uso nelle unioni omosessuali, nelle quali si preferisce il ruolo, “marito” e “moglie” – e si cerca il matrimonio, a preferenza sull’unione di fatto. Negli Usa la ricerca continua  di un vocabolo politicamente corretto, partner essendo insufficiente per una relazione intima e costante. Il  “significant other” di qualche decennio fa - di cui anche a una guida dei possibili disturbi, “The Significant Others Guide to Dissociative Identity Disorder” - ha perso terreno .

Critico – L’Autore è il suo Critico. I casi sono evidenti nel primo Novecento, di Debenedetti per Svevo o Montale, e anche per la fortuna italiana di Proust.  O di Contini per Gadda, Pasolini, e tanti altri. E il contrario è anche vero, di Citati, per esempio, che vive nei suoi autori, del mimetismo, o dello stesso Magris narratore, che è e non è J. Roth, ma in tutto si rapporta a lui.

Umberto Eco  Il narratore richiama Evola – specie l’argomentatore della sua stessa narrazione, “Postilla al «Nome della rosa»”, “Confessions of a young novelist”, e molti interventi sparsi. Non il personaggio, i suoi temi. Un Evola che fosse stato sornione, critico di se stesso – paraculo, come si dice a Roma,  per farsi voler bene.
Una lettura improbabile, la sua, quella di Evola. Eppure:tutte le tematiche di Evola sono in Eco. Che le affronta garibaldino con lo sghignazzo sempre, ma non sa (vuole) liberarsene. “Il pendolo di Foucault dice (“Confessions of a young novelist”) che gli ha preso otto anni di lavoro, quattro volte più del “Nome della rosa”, ma è un compendio sceneggiato di Evola. Con disagio apparentemente dell’autore, e con qualche sberleffo, ma poi, nella troppa pubblicistica con cui ha accompagno il romanzo, invece no: Eco è un personaggio dell’ermetismo che irride. E poi dopo, nelle ultime narrazioni, “Il cimitero di Praga” e perfino “Numero Zero”.

C’è l’Eco conversatore. L’Eco lettore, divertito e divertente. L’Eco narratore, compiaciuto, prolisso, e immemorabile. L’Eco a tempo perso dei “filosofi in libertà”, acuto. E l’Eco professore di semiotica, navigatore a vista  - che sa di esserlo, l’onestà è indefettibile. Tutto questo si lega, come rumore di fondo della vivacità del personaggio – come quando si ascoltava la radio, e a un certo punto la mattina annunciavano “Il prigioniero di Zenda”, che non si seguiva, oppure sì ma come sottofondo sonoro, come leggere “saltando”, e con un senso sempre di disagio, per un prigioniero, lì sulle Api (ma Zenda è un luogo? ed è sulle Alpi? sui Carpazi?)

Romanziere postmoderno per eccellenza: di programma forse prima che di passione o propensione. Che adotta e rinverdisce a freddo, di proposito, il programma di Walter Scott e Dumas. Lo sguardo, seppure da dietro, sempre a Manzoni, senza la lirica, né la concisione.

È immaginativo. Lo dice di se stesso (“Confessions of a youg novelist”) e lo è. Conversatore disinibito e ritmato perché ispirato dalle immagini, vede quello che racconta. Felliniano: disegna, in cento, mille immagini, confusamente, continuamente, personaggi e situazioni.- uso che manifesta nella primissima pubblicazione, quasi goliardica, nel 1958 a Torino, i “Filosofi in libertà”, rimette e filastrocche accompagnate da vignette.

Resta affabulatore gradevole su sentieri agevoli, irsuto (poco convincente, poco convinto) su per la grammatologia e l’ermeneutica (l’intenzione dell’Autore, l’intenzione del Lettore, l’intenzione del Testo…). Non ama la differenza che si fa tra scrittura creativa, “termine malizioso”, e scrittura scientifica – “perché Omero è ritenuto uno scrittore creativo e Platone no?” Ma fuori dalle agudezas (aforismi, calembour, aneddoti, motti di spirito, ritrovamenti e accostamenti a sorpresa) è irto di unte. Non limate.
Al più, filosoficamente, un sollevatore di pietre d’inciampo - seminatore di dubbi, sulla sua stesa riflessione.

Islam – Come  materia letteraria si direbbe ultimamente tutto femminile. Fioriscono le autrici, con ciador e senza ma solidamente simpatizzanti o fedeli. E le storie: di ragazze per lo più, che scappano nel califfato, tutte adepte di facebook. E ne scrivono, posando in nero, madri che le cercano o le rifiutano, facendone best-seller.

Italia – “Scusatemi se ho parlato troppo, il sangue italiano mi tradisce”, ha concluso il papa dopo lunghe ramanzine e concioni ai vescovi polacchi. L’Italia lo tradisce nel senso che parla troppo – si parla di meno in Argentina? Oppure che non lo tiene all’erta e in palla, lo porta a divagare? Non parla molto dell’Italia, il papa.

Mattatore – Proietti rispolvera il “mattatore”. Nella figura di Edmund Kean, l’attore shakespeariano del primo Ottocento che ne è diventato il prototipo, grazie all’opera teatrale a lui intitolata di Dumas. Un’idea che forse a Proietti è venuta per i sessant’anni del film che a Kean dedicarono Francesco Rosi e Gassmann. Ma è la figura centrale del teatro, di ogni forma di teatro: bisogna dominare il pubblico, il pubblico deve’essere dominato. Avvinto, trascinato, scosso Altrimenti si annoia. Il teatro ha bisogno di attori. Il mattatore è l’attore cui basta indossare i panni di un personaggio, panni metaforici, per identificarglisi completamente.
Senza riferimenti a Grillo? Invece che ricorrere a Dumas, Rosi e Gassmann, uno spettacolo avrebbe potuto fare, molto comico, di un comico che fa il dittatore. di un  mondo ridotto a palcoscenico.

Politica – “C’è chi si chiede tutti i giorni se la satira è satira””, riflette Massimo Bucchi su “la Repubblica”, e commenta: “Ma si guarda bene dal chiedersi se la politica è politica”.

Wagner – Fu antisemita, in tutto, dalla precoce teoria e pratica musicale (“L’ebraismo nella musica”), 1850, al successivo pregiudizio nazionalistico e politico, da cui Nietzsche si ritrarrà inorridito. Ma si discute sempre di e come salvarlo. Discutono gli ebrei, da ultimo Taguieff e Fubini, e i controversisti, Žižek, Badiou. Donatella Di Cesare si supera, come filosofa tournée musicologa, nell’incensare Wagner per interposta pubblicistica. In effetti, non ci sono più incondizionali di Wagner, a parte Baudelaire, e naturalmente i tedeschi-tedeschi, degli ebrei, tedeschi e non.
L’antisemitismo di Wagner Di Cesare dice contraddetto da “Parsifal”: “Qui il protagonista, quasi lasciandosi alle spalle il legame fraterno e elitario del Graal, si apre a una nuova comunità”. Quella europea? E Parsifal l’ha inventato Wagner?


leterautore@antiit.eu

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