Camilleri – Ha
il culto del padre, in tutte le prose memorialistiche, e ininterrottamente nel
lunghissimo “La linea della palma”. Che dice sempre la parola giusta. A caccia
col padre è “un mondo magico”. E anche a pesca. Anche in Montalbano:
“Attraverso Montalbano sto cercando di fare il ritratto di mio padre”. Che,
squadrista della prima ora, è il miglior (intelligente) padre del mondo. Uno che
ha amici che erano restano fascisti e
altri che saranno democristiani, ma tutti buoni. Così sarà del figlio, che è
comunista da quando non lo sa nemmeno lui (glielo rivela il vescovo, che
frequentava da chierichetto – altro padre?).
Céline –
Perché fu antisemita è questione ricorrente, di molta trattatistica. Non essendolo
per formazione culturale né ideologica. Né per prevenzione personale: le
“Lettere alle amiche” documentano relazioni prolungate con donne ebree, intellettuali
e non, e di queste donne con lui. Anche dopo il 1937 e i libelli antisemiti. Tra
i tanti motivi per cui maltratta il padre in “Morte a credito”, 1936, c’è il
suo antisemitismo. Fu anche uno dei pochi intellettuali, forse l’unico, che a
Parigi criticava Maurras.
Céline
non fu nazista, nemmeno sotto l’Occupazione, quando scriveva per la stampa collaborazionista:
ha sempre odiato e disprezzato il tedesco, anche nella narrazione
sarcasticamente cupa di “Rigodon”, il rigodone della sua fuga in Germania, col
governo vichysta a Siegmaringen. E non fu fascista: è l’unico intellettuale europeo
ch non abbia mai un cenno, neppure distratto, a Mussolini e alla cose italiane,
la guerra di Spagna, l’impero, le sanzioni, l’asse - nemmeno un cenno mai del
resto, per uno scrittor francese inconcepibile, all’Italia: aveva studiato
tedesco e inglese e guardava al Nord..
La
ragione più convincente dei libelli è la guerra, l’odio e la paura della guerra,
esito di un’epoca materialista. I due motivi che costituiscono tutta l’“opera”
di Céline, e fanno l’attrattiva del “Viaggio”, e delle tante narrative
dopoguerra. Il presupposto è che il sovietismo era “ebraico”, nozione corrente
tra le due guerre, e che il sovietismo divide l’Europa e apre la porta alla
guerra, per la paura del comunismo e per il disarmo morale con cui infetta
l’Europa attraverso il materialismo. I libelli partono dal “Mea culpa”, di
ritorno dal viaggio in Unione Sovietica, dove Céline non è colpito dallo
stalinismo, con le purghe generalizzate di quell’anno 1936, ma dal materialismo
gretto. Prodromo di guerra, l’annusa, la sente, la sa, anche nella data, 1939.
La guerra che sarà bestiale e apocalittica, anche questo sa, che tutti temono
ma non si può scongiurare: è il tema di tutti i libelli.
Del
resto, si trascura bizzarramente che, se Hitler poté fare la guerra, e vincerla
fino al 1942, fu in virtù del trattato con Stalin, per la non ingerenza e la divisione
del bottino.
Monogamia – È più
appassionante indubbiamente del’adulterio: enigmatica e improbabile sotto il
velo della normalità, che è puramente normativo. Ma non suscita interesse:
neppure un romanzo sulla monogamia, contro i tanti sull’adulterio, tema romanzesco
anzi preferito a ogni altro.
Norvegia –
Ricorre in Enzensberger (“Tumulto”, 75) che ci ha vissuto, con la prima moglie,
Dagrun e la figlia Tanaquil, a Tjøme, un’isola sul fiordo di Tønsberg e di
Oslo, come in Hamsun. In “una piccola casa bianca di un capitano con grande giardino”,
dove poetava:
“Calme
le sere nordiche a giugno
Spensierato
l’orologio d’ottone batteva sull’isola,
senza
memoria stava la casa di legno, pacificata
in
cui non diventava buio,
calma,
calma stava la barca ormeggiata al pontile,
come
se fosse felicità, calmi
stavano
i libri, le rocce, sul davanzale
stava
l’acquavite chiara.”
Non
granché, ma il tempo è sospeso lo stesso.
Padre – “Per
un bambino suo padre sarà sempre di gran lunga meno interessante di un
cavallo”, Henri Michaux, “Le disavventure del signor Plume”.
Roma – È
una città con il centro, che si vive dall’interno. È qui il suo charme, che fa l’invidia delle altre
capitali? Emilio Cecchi in “Pesci rossi” scopre che la città si capisce e si
gusta dall’esterno. E raffronta Roma a Londra, a favore d Londra: “Roma è monotona
e annoiata soltanto perché gli abitanti di Roma si ostinano ad abitare a Roma e
diventano insensibili alle mostre dei negozi e a tutte le bellezze di Roma”.
Mentre Londra è una metropoli “mitologica e smagliante soltanto perché i suoi
abitanti, per nove decimi, sono abitanti suburbani”. Ma ci vuole spessore e
“corpo” per essere sensibili. E questo ha Roma.
Roma
non è monotona – dove? E se è annoiata è che i romani, essendo vetusti di millenni,
vivono a ritmo blando, fingendo di annoiarsi. Non insensibili alle bellezze
della città, com’è possibile, poiché ci crescono dentro, con inevitabili e
ottime, positive, ricadute pedagogiche. Vissute e non dette, non insegnate, ma
per questo più intime. Una pedagogia che finora l’ha tenuta fuori dalla pratica
d’immolare il suo centro, una città, all’“isola pedonale”, secondo la convitano
i “giornali stranieri”, e i giornali tout court, magari nemmeno pagati – centro
pedonale è un eufemismo per centro commerciale.
Scrivere – Senza
leggere? È quello che insegnano le scuole di scrittura. Ma come si fa? Si
scrive perché?
La
scuola, anche se di scrittura, è sempre quella: insiste sull’alfabetizzazione.
Socrate – Un
Costanzo? Un Santoro, un Floris? Enzensberger, “Considerazioni del signor
Zeta”, lo rappresenta persuasivo che tiene il suo “talk-show” in piazza:
“Socrate era probabilmente il più noto conduttore di Atene”.
letterautore@antiit.eu
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