Si comincia con la Russia – maliziosamente,
in questa epoca di saracinesche abbassate? Nella Siberia più remota
Enzensberger trova che “la sensazione che la Russia culturalmente faccia parte
dell’Europa non è venuta meno”. Il poeta era allora, anni 1960, uno dei tanti invitati nella
Russia di Breznev per facilitarne l’accettazione mediante l’esibizione delle
realizzazioni tecniche, anche spettacolari – per l’Italia fu invitato Giorgio
Bocca, che invece ne scrisse male. A Irkutsk un ingegnere, semiconfinato con la
moglie, “parla inglese, conosce Hamsun, Faulkner, Salinger e Böll”. A Novosibirsk
due ragazze operaie, incontrate alla cassa del cinema, sanno tutto della poesia
russa, testi e critica. Anche il Kazakistan, oltre gli Urali, che ospiterà la
prossima Expo dopo Milano, ha molta voglia di Europa: nella capitale Alma Ata: una libreria è specializzata in letteratura tedesca.
È un lungo omaggio. “Mi chiedi”, l’autore
si chiede, “se l’impero sovietico, dal punto di vista economico, sia stato
davvero redditizio. Fra campi di cotone e cammelli, da qualche parte è stata
costruita un’università. Che cosa ne hanno ricavato i russi in fondo?” Questo
era vero cinquant’anni fa, al tempo del secondo viaggio di Enzensberger in Russia
– ma “già durante l’impero zarista” – ed è vero oggi. Già il Caucaso era
inavvicinabile, benché sotto il rigido controllo sovietico. Cinquant’anni fa un
imprenditore edile di Bakù con moglie osseta spiega a Enzensbeger che ci sono “solo mulattiere, niente stade asfaltate, niente tabacco, niente giornali,
niente alcol, niente telefono”, e “le donne, secondo l’uso islamico, sono
animali da lavoro”, e oggi non è molto diverso. Ci sono già milionari nella
Russia nella Russia post-kruscioviana, che la “normalizzazione” brezneviana anzi favorisce. Erenburg è uno – gli scrittori in genere sono molto
privilegiati – e c’è un affarista che va a pesca il week-end con l’aereo
privato. Mentre i cinesi criticano la politica krusciovana della prosperità:
“Più ricchi diventate, più pensate da borghesi”
Un amarcord del poeta ottantacinquenne,
posato, contrariamente al titolo. I due libri qui assomma che avrebbe voluto e
non ha scritto. Di vecchi appunti quindi, e vecchie situazioni. Il libro su Cuba
dopo quello sulla Russia. Ma ancora abbastanza anticonformista, o anarchico,
come rivendica – “non uno da libro illustrato, con miccia corta e la bomba in
mano”. Specie nel ritratto di Castro, in contrappunto alle beatificazioni che vanno di rito. Irresistbile è l’ordine di Castro – che il maestro Abbado replicherà a
Milano per l’Expo, anche se non per il caffè – di piantare attorno all’Avana “40
milioni di alberelli del caffè”: operazione cui gli intellettuali vengono
comandati in corvée la domenica, su
un terreno piatto e umido, non drenato, dove lunedì le piantine sono già morte,
o mercoledì. C’è anche Saverio Tutino per un paio di pagine, non nominato, ma
ancora all’Avana, in esilio, esecutore fedele delle incomprensibili direttive
del Pci.
Gli “Appunti sparsi su un viaggio in
Unione Sovietica” sono di due viaggi in realtà, uno nel 1963, su invito di Giancarlo
Vigorelli, segretario di una qualche associazione di scrittori europei, e uno
tre anni dopo, dopo Krusciov. E sono la parte migliore, Enzensberger è un viaggiore curioso. Nel paese sovietico una giovane interprete, che è
stata per studio nella Germania Federale, ne è tornata delusa, dalla “mancanza
di individualità”. Il primo viaggio – Vigorelli ha convitato Sartre, Beauvoir,
Ungaretti e molti altri, con Šolochov, Erenburg, Tvardovskij, a torto ora
dimenticato - si cocnlude con un
ritratto di Krusciov di cui gli storici dovranno tenere conto. Nel secondo
Enzensberger s’innamora, di una giovane russa che sarà la sua seconda moglie, in
un difficile “romanzo russo”, poi vissuto tra Berlino, gli Usa, l’Avana, Londra e
il divorzio.Un progetto di romanzo, probabilmente abbandonato dopo il successo dell’analogo
titolo di Emmanuel Carrère.
Il resto è un affannoso selfie in forma di auto-intervista, per
fare i conti con l’impegno-disimpegno dei tardi anni 1960. A Berlino e a Cuba.
Di più è una resa dei conti con Castro, oggi scontata – benché, appunto, sempre
controcorrente. Con notevoli ricordi, questo sì, di Rudi Dutschke, e di Ulrike
Meinhof, col suo loffio Andrea Baader. Nonché omaggi commoventi a Herberto
Padilla, Carlo Fuentes, Cabrera-Infante e altre vittime di Castro, e a tanti
amici, illustri o sconosciuti. Nelly Sachs sopra tutti, di cui è stato
esecutore testamentario, a Stoccolma. Herbet Marcuse più volte, di pratica e “mentalità
alto-borghese”, specie nel suo buen retiro svizzero. Molto Hans-Werner Henze, non
con simpatia malgrado la frequente collaborazione. Lily Brik a Mosca, ancora
più lussuosa di Erenburg. Achmatova sola a Taormina. E di passaggio un figlio
di Ernst Jünger, compagno di posto in aereo, che voleva fare la guardia
forestale. Una Ingeborg Bachmann a una festa a Roma, col “tirchio Moravia”, “in
un abito di paillette scintillanti”. E Kissinger che “si ostina a parlare in un
inglese americano” anche in Germania, con forte accento di Norimberga – e s’impermalosisce
invece di sorprendersi quando Enzensberger glielo fa notare.
Hans Magnus Enzensberger, Tumulto, Einaudi, pp. 235 € 19,50
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