Sarà
una sorta di “fata morgana” della triarchia al vertice, Grillo, Di Maio e Di
Battista, che si riflette in terra. Ma sembra che siamo tutti grillini, uni e
trini. All’improvviso. Dopo il successo a Roma e a Torino: uno legge il
giornale o apre la tv e si trova sommerso dai grillini, cosa (non) pensano e
cosa (non) fanno.
Si
fa come se Grillo avesse vinto il referendum istituzionale, mentre lo perderà (a meno che Berlusconi... v. sotto),
e anzi sia già presidente del consiglio, sempre uno e trino. Mentre non fa che
perdere voti.
A
Roma ha vinto Raggi e a Torino Appendino perché le due “ragazze” hanno avuto i
voti del centro-destra - a Roma anche quelli dei Pd “dalemiani”, nonché della vedova Petroselli, ultimo sindaco Pci. Dopo che Berlusconi aveva provveduto, perfido sapiente, a disinnescare i suoi candidati al primo turno. Raggi ha avuto al primo turno 461 mila voti, al
ballottaggio 771 mila – mentre Giachetti, candidato di “un partito che non c’era”
(non lo candidava e non si impegnava organizzativamente) ha raccolto nel suo orto,
passando da 326 a 377 mila. Idem per Appendino a Torino: 118 mila voti al primo
turno, 203 mila al ballottaggio, mentre Fassino raccoglieva i suoi, 160 mila al
primo turno e 168 al ballottaggio.
Il centro-destra è in dissoluzione, e volentieri salterebbe nel carro
di Grillo. Ma non succederà. Grillo non
li vuole – scomparirebbe. E gli elettori non li seguirebbero – votare contro
Renzi una volta sì, ma per Grillo no.
Grillo,
di suo, è in fase discendente: ha fatto il botto alle Politiche del 2013, con il 25,5 per cento del voto, 8,8 milioni. Una protesta di massa, che si sorprese da
sé – i sondaggi davano il partito dei “vaffa” alla metà del risultato elettorale…. Alle Europee l’anno
dopo era sceso di 4 punti e mezzo, con soli 5,8 milioni di voti. Effetto, si è
detto, della minore attrazione delle Europee, con un’affluenza limitata al 57
per cento degli aventi diritto contro il 75 per cento delle Politiche. Ma il
grillino va a votare, non se ne priva.
Grillo non raccoglie più degli 8-10 punti percentuali del voto, l’area della protesta di
ogni elezione della Seconda Repubblica. Maggiore del 5 per cento, sui 2,5
milioni di elettori, della protesta fino al golpe di Milano, ma ugualmente instabile.
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