Chiesa –
È depositaria e mediatrice della grazia. Non ha altra funzione, e quando la perde
deve in qualche modo riacquistarla – l’aggiornamento. All’infuori di essa non
hanno senso il sacerdozio né i sacramenti.
Lutero e
poi Calvino opportunamente l’hanno sfidata su questo suo cardine, eliminandone
l’intermediazione –ma per questo stesso fatto riducendosi a religioni laiche:
protestantesimo e cattolicesimo condividono l’idea di comunità, della grazia
delibata in comunione, perché la comunità – l’effetto proselitismo - è un
sicuro intermediario. Ma allora questo si realizza meglio con la fede e i dogmi,
piuttosto che con lo scetticismo.
Corruzione – Dai tempi di
Crasso usa l’anticorruzione. Se ne fa un’arma anzi indefettibile, che però non
estirpa la corruzione e quasi anzi ne costituisce un terreno di coltura. Come
si usa l’antimafia per far crescere (imparare, diversificare, inventare) la
mafia. L’antiterrorismo per far crescere il terrorismo. L’antimilitarismo per
rafforzare il militarismo. O, se si vuole, in contesto positivo, di verità,
l’antimateria per venire a capo della materia. Ci vuole misura e costanza
nell’azione repressiva, e pene scoraggianti. Mentre la professione di fede è
rischiosa, a rischio boomerang. Tanto più che salire sul carro anti- deve essere concesso a tutti – perché non
al figlio di Riina, argomenta il figlio mafioso di Riina?
Si
dice dai tempi di Crasso per dire che la pratica c’era anche prima – non se ne
tiene il pedigree (tutta la vita pubblica a Roma, anche quella virtuosa
dell’età repubblicana, si svolgeva nella corruzione, in termini odierni).
Indefinitezza - È la spia e la radice della decadenza, delle epoche
depressive - la definitezza o definizione essendo la radice e il motore del
mondo regolato (accumulatore, costruttivo). È indefinito oggi, relativo, anche
il concetto di umano – di essenza, di esistenza: è il segno più chiaro
dell’incapacità o non volontà di ideare, progettare, fare, costruire. Tutto è
vago e confuso, nelle arti e le poetiche, limitate al merchandising, nella
riflessione, in politica, in economia, nelle relazioni internazionali, che più
spesso sono la guerra – la guerra per la guerra, senza un piano e un calcolo
che la guerra comunemente comporta, della guerra per la pace. Si ripropone
l’urfascismo, o il fascismo eterno, che è tutto e nulla. Lo stesso il tutto
mafia, o il Sud è mafia, Roma corruzione, lo Stato fascista “per definizione”.
Per
spiegare Trump, il suo populismo, la “New York Review of Books” rispolvera un “Ur-fascsim”,
un saggio di Umberto Eco, pubblicato il 22 giugno 1995, di cui evidenzia nel
sommarietto: “”L’Ur-fascismo cresce e ambisce al consenso sfruttando ed esacerbando
la naturale paura della differenza.
Il primo richiamo di un movimento fascista o prematuramente fascista è un
richiamo contro gli intrusi”. Che sembra molto – il fascista “prematuro” è
Trump – ma poi non è niente, niente di specifico.
Il Sud è
mafia è concetto disgraziatamente di Sciascia. Che però lo usava in un
contesto, e secondo un criterio di giudizio, anche severi. Scomparsi o
indefiniti i quali, è un’arma buona a tutto, anche ai mafiosi.
Lo stesso
la corruzione. Qui il fatto è macroscopico: sono i luoghi, gli ambienti d’affari
e le persone più implicate nell’affarismo e la corruzione, anche tra i padroni
dei media, a promuovere crociate e denunciare
corrotti. Per esempio – a Roma oggi – concentrandole su un ex carcerato
cooptato in una cooperativa di ex carcerati, che seppe fare crescere come
crescono tutte le cooperative sociali, il cosiddetto “terzo settore” per la
gestione della spesa pubblica a fini sociali, col voto di scambio e le
bustarelle, ma per appalti di milioni o meno. Che si fa apparire molto, anzi
tutto, mentre il “terzo settore” impegna almeno 70 miliardi di euro, l’anno, e
la corruzione in Italia si aggira sui 100 miliardi, l’anno – la stima più probabile
tra le tante inventate, basata sul calcolo della Corte dei Conti, che valuta
nel 40 per cento l’aggravio per opere, forniture e servizi pubblici.
Populismo –
Si definisce variamente, ma al fondo per una connotazione semplice, inerente
alla stessa parola: ciò che incontra il favore del popolo, cioè delle masse,
per un impeto irriflesso, non valutato criticamente
né ponderato. È stato populismo il “jingoismo”, l’imperialismo popolare, dei
lavoratori in particolare, al tempo della regina Vittoria e dell’impero britannico,
come lo è in genere ogni svalutazione dell’Altro – l’esterno, il remoto, il
diverso. È stata populismo la bellicosità ingenerata in tutte le popolazioni europee alla vigilia della prima ecatombe,
della prima guerra mondiale.
Come
fenomeno emotivo e acritico si penserebbe legata a una complessità sociale
primitiva e povera: poco alfabetizzata, poco affluente. Invece è ritornato in
Europa, trent’anni fa, nei due paesi più ricchi, Svizzera e Norvegia, e di tradizione
democratica consolidata. Quindi, vent’anni fa, in Francia, paese-guida della cultura
continentale. Ora è addirittura maggioritario in Austria, paese che pure lo ha
sperimentato con grave danno come hitlerismo.
Lo stesso
si può dire in Italia. Dove si coagula attorno a movimenti nati e cresciuti col
suo linguaggio, la Lega e i 5 Stelle, eredi del vecchio Uomo Qualunque. Ma su
una solida base di rifiuto costruita e cementata dalla borghesia che conta.
Quella degli affari (“Milano”), e quella intellettuale ex Pci, giudici e
giornalisti. Che hanno fatto a gara per demolire ogni assetto politico e ogni riflessione
politica. La politica annegando genericamente nella corruzione, con la “questione
morale”, e le istituzioni nella “casta”. Si può discutere se gli affari possano agitare
una questione morale, ma è un fatto. “Milano” è peraltro Milano, la città della
stampa e dell’editoria, che ha specializzato da un quarto di secolo e oltre
nella guerra all’autonomia del politico. Nell’annientamento della mediazione politica,
riflessa, riflessiva.
Ricerca –
Va avanti come una storia poliziesca. È l’ipotesi di Eco (“Confessions of a
young novelist”), della ricerca scientifica come “trucco narrativo”. Da lui
attribuita a un controrelatore alla sua tesi di laure, “Il problema estetico in
Tommaso d’Aquino”: “Secondo lui, avevo raccontato la storia della mia ricerca
come se si fosse trattato di un romanzo poliziesco” - secondo Vattimo, più
giovane compagno di studi di Eco a Torino, era stata la reazione del suo stesso
relatore, Pareyson. Eco dice che l’esaminatore gli oppose questa considerazione
“nei termini più amichevoli”, e subito dopo usa un ambiguo: “Mi suggerì l’idea
fondamentale che ogni ricerca deve essere
«narrata» in questo modo. Ogni opera scientifica deve’essere una specie di
inchiesta penale”.
Selezione
– È inevitabilmente gerarchica, potendo essere solo del “più adatto” (H.Spencer
e poi lo stesso Darwin a partire dalla quinta edizione, 1871, dell’“Origine della
specie”), selettiva appunto. Ma questo è un fondamento dell’umanesimo, e non il
suo debasement, con ogni evidenza. E
lo è anche, sebbene più sottile, del creazionismo – della storia come freccia,
del Regno.
Semiologia
– Una trappola più che una scienza, la scomposizione dei segni?Si legge Eco
semiologista con una insistente, benché indistinta, impressione di una sua,
forse non inconscia, non credibilità. Come di un esercizio di bravura, senza
peraltro scopo, e senza verità.
Tolleranza
– È intessuta di egualitarismo – ne è il fondamento. Non è una concessione, è
un fatto e un diritto.
È
l’uguaglianza nella diversità (complessità) – ne è l’ordito e il filo.
È sempre in
cantiere, non mai acquisita. Seppure sia
codificata.
Di permanente
ha che è un fatto pedagogico: l’intolleranza più pericolosa non è quella dottrinaria,
è quella che viene da pulsioni elementari, incontrollate. Che possono innestarsi
su una dottrina, ma sempre la travalicano.
La caccia
alle streghe è della chiesa come dei laici. Con la differenza che per la chiesa
è un fatto storico e abiurato, altrove viene a buon diritto.
Curiosa la
tolleranza verso i sistemi intolleranti. Per esempio i regimi maschilisti di molte
legislazioni, cui ora si vorrebbe dare cittadinanza in un quadro di tolleranza.
Patriarcali anche. Come segno di pluralismo in normative egualitarie.
zeulig@antiit.eu
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