domenica 14 agosto 2016

Secondi pensieri - 273

zeulig

Chiesa – È depositaria e mediatrice della grazia. Non ha altra funzione, e quando la perde deve in qualche modo riacquistarla – l’aggiornamento. All’infuori di essa non hanno senso il sacerdozio né i sacramenti.
Lutero e poi Calvino opportunamente l’hanno sfidata su questo suo cardine, eliminandone l’intermediazione –ma per questo stesso fatto riducendosi a religioni laiche: protestantesimo e cattolicesimo condividono l’idea di comunità, della grazia delibata in comunione, perché la comunità – l’effetto proselitismo - è un sicuro intermediario. Ma allora questo si realizza meglio con la fede e i dogmi, piuttosto che con lo scetticismo.

Corruzione – Dai tempi di Crasso usa l’anticorruzione. Se ne fa un’arma anzi indefettibile, che però non estirpa la corruzione e quasi anzi ne costituisce un terreno di coltura. Come si usa l’antimafia per far crescere (imparare, diversificare, inventare) la mafia. L’antiterrorismo per far crescere il terrorismo. L’antimilitarismo per rafforzare il militarismo. O, se si vuole, in contesto positivo, di verità, l’antimateria per venire a capo della materia. Ci vuole misura e costanza nell’azione repressiva, e pene scoraggianti. Mentre la professione di fede è rischiosa, a rischio boomerang. Tanto più che salire sul carro anti- deve essere concesso a tutti – perché non al figlio di Riina, argomenta il figlio mafioso di Riina?
Si dice dai tempi di Crasso per dire che la pratica c’era anche prima – non se ne tiene il pedigree (tutta la vita pubblica a Roma, anche quella virtuosa dell’età repubblicana, si svolgeva nella corruzione, in termini odierni). 

Indefinitezza - È la spia e la radice della decadenza, delle epoche depressive - la definitezza o definizione essendo la radice e il motore del mondo regolato (accumulatore, costruttivo). È indefinito oggi, relativo, anche il concetto di umano – di essenza, di esistenza: è il segno più chiaro dell’incapacità o non volontà di ideare, progettare, fare, costruire. Tutto è vago e confuso, nelle arti e le poetiche, limitate al merchandising, nella riflessione, in politica, in economia, nelle relazioni internazionali, che più spesso sono la guerra – la guerra per la guerra, senza un piano e un calcolo che la guerra comunemente comporta, della guerra per la pace. Si ripropone l’urfascismo, o il fascismo eterno, che è tutto e nulla. Lo stesso il tutto mafia, o il Sud è mafia, Roma corruzione, lo Stato fascista “per definizione”.
Per spiegare Trump, il suo populismo, la “New York Review of Books” rispolvera un “Ur-fascsim”, un saggio di Umberto Eco, pubblicato il 22 giugno 1995, di cui evidenzia nel sommarietto: “”L’Ur-fascismo cresce e ambisce al consenso sfruttando ed esacerbando la naturale paura della differenza. Il primo richiamo di un movimento fascista o prematuramente fascista è un richiamo contro gli intrusi”. Che sembra molto – il fascista “prematuro” è Trump – ma poi non è niente, niente di specifico.
Il Sud è mafia è concetto disgraziatamente di Sciascia. Che però lo usava in un contesto, e secondo un criterio di giudizio, anche severi. Scomparsi o indefiniti i quali, è un’arma buona a tutto, anche ai mafiosi.
Lo stesso la corruzione. Qui il fatto è macroscopico: sono i luoghi, gli ambienti d’affari e le persone più implicate nell’affarismo e la corruzione, anche tra i padroni dei media, a promuovere crociate e denunciare corrotti. Per esempio – a Roma oggi – concentrandole su un ex carcerato cooptato in una cooperativa di ex carcerati, che seppe fare crescere come crescono tutte le cooperative sociali, il cosiddetto “terzo settore” per la gestione della spesa pubblica a fini sociali, col voto di scambio e le bustarelle, ma per appalti di milioni o meno. Che si fa apparire molto, anzi tutto, mentre il “terzo settore” impegna almeno 70 miliardi di euro, l’anno, e la corruzione in Italia si aggira sui 100 miliardi, l’anno – la stima più probabile tra le tante inventate, basata sul calcolo della Corte dei Conti, che valuta nel 40 per cento l’aggravio per opere, forniture e servizi pubblici.

Populismo – Si definisce variamente, ma al fondo per una connotazione semplice, inerente alla stessa parola: ciò che incontra il favore del popolo, cioè delle masse, per un  impeto irriflesso, non valutato criticamente né ponderato. È stato populismo il “jingoismo”, l’imperialismo popolare, dei lavoratori in particolare, al tempo della regina Vittoria e dell’impero britannico, come lo è in genere ogni svalutazione dell’Altro – l’esterno, il remoto, il diverso. È stata populismo la bellicosità ingenerata in tutte le popolazioni europee alla vigilia della prima ecatombe, della prima guerra mondiale.
Come fenomeno emotivo e acritico si penserebbe legata a una complessità sociale primitiva e povera: poco alfabetizzata, poco affluente. Invece è ritornato in Europa, trent’anni fa, nei due paesi più ricchi, Svizzera e Norvegia, e di tradizione democratica consolidata. Quindi, vent’anni fa, in Francia, paese-guida della cultura continentale. Ora è addirittura maggioritario in Austria, paese che pure lo ha sperimentato con grave danno come hitlerismo.

Lo stesso si può dire in Italia. Dove si coagula attorno a movimenti nati e cresciuti col suo linguaggio, la Lega e i 5 Stelle, eredi del vecchio Uomo Qualunque. Ma su una solida base di rifiuto costruita e cementata dalla borghesia che conta. Quella degli affari (“Milano”), e quella intellettuale ex Pci, giudici e giornalisti. Che hanno fatto a gara per demolire ogni assetto politico e ogni riflessione politica. La politica annegando genericamente nella corruzione, con la “questione morale”, e le istituzioni nella “casta”.  Si può discutere se gli affari possano agitare una questione morale, ma è un fatto. “Milano” è peraltro Milano, la città della stampa e dell’editoria, che ha specializzato da un quarto di secolo e oltre nella guerra all’autonomia del politico. Nell’annientamento della mediazione politica, riflessa, riflessiva.  


Ricerca – Va avanti come una storia poliziesca. È l’ipotesi di Eco (“Confessions of a young novelist”), della ricerca scientifica come “trucco narrativo”. Da lui attribuita a un controrelatore alla sua tesi di laure, “Il problema estetico in Tommaso d’Aquino”: “Secondo lui, avevo raccontato la storia della mia ricerca come se si fosse trattato di un romanzo poliziesco” - secondo Vattimo, più giovane compagno di studi di Eco a Torino, era stata la reazione del suo stesso relatore, Pareyson. Eco dice che l’esaminatore gli oppose questa considerazione “nei termini più amichevoli”, e subito dopo usa un ambiguo: “Mi suggerì l’idea fondamentale che ogni ricerca deve essere «narrata» in questo modo. Ogni opera scientifica deve’essere una specie di inchiesta penale”.

Selezione – È inevitabilmente gerarchica, potendo essere solo del “più adatto” (H.Spencer e poi lo stesso Darwin a partire dalla quinta edizione, 1871, dell’“Origine della specie”), selettiva appunto. Ma questo è un fondamento dell’umanesimo, e non il suo debasement, con ogni evidenza. E lo è anche, sebbene più sottile, del creazionismo – della storia come freccia, del Regno.

Semiologia – Una trappola più che una scienza, la scomposizione dei segni?Si legge Eco semiologista con una insistente, benché indistinta, impressione di una sua, forse non inconscia, non credibilità. Come di un esercizio di bravura, senza peraltro scopo, e senza verità.

Tolleranza – È intessuta di egualitarismo – ne è il fondamento. Non è una concessione, è un fatto e un diritto.
È l’uguaglianza nella diversità (complessità) – ne è l’ordito e il filo.

È sempre in cantiere, non  mai acquisita. Seppure sia codificata.
Di permanente ha che è un fatto pedagogico: l’intolleranza più pericolosa non è quella dottrinaria, è quella che viene da pulsioni elementari, incontrollate. Che possono innestarsi su una dottrina, ma sempre la travalicano.

La caccia alle streghe è della chiesa come dei laici. Con la differenza che per la chiesa è un fatto storico e abiurato, altrove viene a buon diritto.

Curiosa la tolleranza verso i sistemi intolleranti. Per esempio i regimi maschilisti di molte legislazioni, cui ora si vorrebbe dare cittadinanza in un quadro di tolleranza. Patriarcali anche. Come segno di pluralismo in normative egualitarie.

zeulig@antiit.eu 

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