Impolitico no: Céline fa politica
eccome, per almeno un decennio, quello dell’abbrutimento – ma anche prima, e
anche dopo, perché no. Anarchico nemmeno: l’anarchico è al fondo un ottimista,
sulla natura e il destino dell’uomo, Céline no. E dunque? Fu antisemita perché?
Non è nemmeno un odiatore degli ebrei, si può aggiungere: aveva amici tra gli
ebrei, e amiche, che non rinunciarono alla sua amicizia.
L’antisemitismo è per Céline “la forma più estrema e radicale di opposizione alla società borghese”. Germinario
lo considera in partenza un fascista, anzi un nazista, e quindi la risposta c’è
già. Ma poi ne fa una sorta di “rivoluzioanrio conservatore” alla tedesca -
alla Jünger, Mohler, Schmitt e tanti altri, che però non erano antisemiti. Di un
antisemitismo che “si autocandida a una forma di critica della società borghese, in diretta ed esplicita concorrenza” col comnismo sovietico. Del semitismo
imputato dei mali della società moderna: la società in crisi è borghese, ed è
borghese “perché gli uomini agsicono n base a comportamenti «ebraici»”, così
Germinario sintetizza il suo Céline.
Letteratura politica per Céline è dizione
equivoca: è la politica di un impolitico, un uomo deluso, amaro, che non ha
altro rapporto che personale con le cose e le persone, basico: la salute, la
bellezza, il reddito. Céline fu medico dei poveri al dispesnsrio di Clichy, una
sorta di medico condotto, e prima da funzionario di quello che sarà l’Oms,
grazie alla conoscenza dell’inglese, fustigatore dei bassi salari e delle cattive
condizioni igieniche dei poveri, lavoratori compresi – la nostra raccolta dei
suoi testi sociali, articoli, relazioni, conferenze (“I sottouomini”, 1993), lo mosra amiamente. Veniva dall’ospedale e
dalla fabbrica, senza pregiudizi, né razziali né sociali. Fu anticolonialista,
per esperienza diretta dell’Africa, dove era emigrato nel 1916. Era fanatico
della salute e la bellezza fisiche, passione che presto si spegne anch’essa, all’avvicinarsi
della guerra, la seconda, che lo marchierà.
L’antisemitismo matura quando è uno
scrittore di successo, e apparentemente senza motivo. Nello stesso anno, 1936,
in cui pubblicava “Morte a credito” dove invece lo derideva, facendone la
paranoia del padre, “perseguitato” da ebrei e masson. E si radicalizza in poco
tempo, dino a diventare “eccessivo” per gli stessi antisemiti professi – Brasillach
ne stroncherà “La scuola dei cadaveri”: “Quest’opera è stata scritta da un
certo Celinemann, detto Céline, col fine di mettere in attiva luce gli
antisemiti”. Insomma, c’è da scavare.
Germinario la seconda parte del libro
intitola “Nel vortice dell’antisemitismo totalitario (1937-1944). Céline volendo
fascista, e anche nazista: “L’antisemitismo
è la strategia, il fascismo la tattica”. Che non vuole dir nulla – Céline
fu fascista, e nazista, per meglio essere antisemita? Ma Germinario ci tiene,
che sottolinea: “Una con ferma che le «Bagatelle» e la «Scuola dei cadaveri»
sono due testi mossi da riflessioni politiche ben ponderate è che la rivolta
céliniana associa il recupero ideologico-politico del proletariato a un
giudizio positivo sulla piccola borghesia, cui Céline affida addirittura
compiti da protagonista”. Una tesi che
prende molte pagine, questa della “rivoluzione piccolo borghese” in funzione
antisemita. Un’analisi controversa,
quella del fascismo piccolo borghese. Incomprensibile la piccola borghesia come
“tattica” (intermediaria) all’antisemitismo.
A riprova del fascismo di Céline Germinario
porta “la lingua più moderna, più progressista che ci sia”, che lo distingue.
Perché, dice, il fascismo fu innovativo, cioè creativo. Lo fu? E il “fascismo
rivoluzionario” di Céline sintetizza non ironicamente come un “comunismo ariano”.
Céline non era fascista, e non fu nazista,
benché abbia scritto sui giornali collaboarzionisti, frequentemente e di sua
iniziativa, e fosse antisemita negli anni del nazismo. Gerrminario lo appaia a
Mussolini, come un compagno di strada “rivoluzionario” confusionario. Ma non
seppe – non ne scrisse e non ne disse -
del fascismo né di Mussolini (neppure dell’Italia, fatto anomalo per uno
scrittore francese: non guardava oltre l’esagono). E non amava i tedeschi, come
avenne potuto essere nazista – basta leggere “Rigodon”, il rigodone beffardo della
sua fuga dalla Reistenza attraverso la Germania e in Germania? Il suo romanzo
fu criticato dai comunisti sovietici e sovietizzanti, Gor’kij, Trockij, Nizan.
Ma “La santé publique en France”, il saggio requisitoria del 1932 (prima quindi
del “Viaggio” e del successo) di cui lo stesso Germinario fa grande caso,
Céline lo pubblico sulla rivista “Monde” di Henri Barbusse, un comunista, accomunato
a Céline dall’antibellicismo - era diventato famoso durante la guerra,
pubblicando dapprima a puntate e poi in volume nel 1916 il romazo antimilitarista
“Il fuoco”.
Céline fu un poliglotta, e un viaggiatore
di molteplici esperienze, a partire dai soggiorni adolescenziali in Germania e
in Inghilterra. Fu in Africa avventuriero. Fu alla Fondazione Rockefeller dopo
la guerra, con la quale riuscì a diventare medico. Non aveva pregiudizi, li
maturò a un momento preciso, nel viaggio
in Urss: dove il comunismo vide catastrofico, e la guerra imminente.
Germinario ne contesta anche il pacifismo:
nonché non impolitico e non anarchico, vuole Céline non pacifista. Se non come
fascista in petto, cioè di un
pacifismo opportunista. Questo è un saliente a doppio taglio: il pacifismo è, definirlo è contestarlo, da signori
delal guerra cioè, per quanto ragionevoli.
Un saggio che utilizza una bibliografia
sterminata. Che però fatica a padroneggiare, e la sinetsi non è congrua. Forse
perché l’impianto non lo è: non “leggere” Céline per come scrive, ma “astrarlo”
e classificarlo, per ipotesi e linee di ricerca. Ogni ipotesi è confermabile in
ogni auto segmentandone i dettire che abbia scritto molte pagine.
Francesco Germinario, Céline. Letteratura politica e
antisemitismo, Utet, remainders, pp. 157 € 8
Nessun commento:
Posta un commento