Un strano libro, di uno che era sceso da
Milano a Roma per tagliare la spesa, dopo un paio di settimane se n’è tornato a
Milano senza cominciare, e vuole dare lezioni. Perotti è simpatico, ma è un maestro senza carisma, avendo avviato la “sindrome Raggi”, dei nominati a
Roma, specie milanesi, che lasciano dopo avere accettato.
Come arriva al sottotitolo: “Perché in
Italia è così difficile cambiare le cose (e come cominciare a farlo)”, con che
autorità? Forse “così difficile” intende “cominciare a farlo”? Tanto valeva
risparmiarsi.
Tra le solite facezie di cui la spesa
pubblica non è avara – dare all’ippica 200 milioni, etc. – e le solite rigidezze
della burocrazia, simboleggiata in copertina da un lucchetto cacerario, Perotti non aggiunge nulla. La spesa pubblica va risanata? Questa
è un’altra facezia – o rigidità? – tematica.
Nulla sulla qualità della spesa,
altro che la solita filippica antikeynesiana. Come se fossimo ancora a Keynes,
dismesso da almeno quarant’anni, da quando
è stata inventa(ria)ta la crisi fiscale dello stato. Nulla sull’imprescindibile
consolidamento del debito pubblico, i cui costi sono la sola ragione della permanente
crisi fiscale dello Stato Italiano - che non ha più niente per nessuno, altro
che Keynes. Che altro può fare lo Stato, altro che produrre un saldo primario attivo da venticinque anni, al
netto cioè del costo del debito? O il debito non si può toccare, perché le
banche ci devono guadagnare?
Roberto Perotti, Status quo, Feltrinelli, pp. 208 € 16
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