Cosa vuole la Germania? Le risposte si
affollano da un paio d’anni. La più semplice – articolata, comparata – rimanda
a Walter Eucken, l’economista in voga negli anni 1930, teorico dell’Ordoliberalismus. Non all’economia
sociale di mercato e a Ludwig Ehrard che ne fu il fautore, i soliti
riferimenti, ma a un professore antikeynesiano.
Eucken fu antikeynesiano al punto di
non nominare il rivale nella sua trattatistica, nemmeno per caso. Ma poi, benché
morto nel 1950, negli scritti 1930-1945 pare che non menzioni neanche il
nazismo: un macro-economista teorico, fuori dalla storia. La sua Ordnungspolitik non vuole la piena occupazione,
non vuole cioè i sindacati, il potere sindacale. E non vuole investimenti
pubblici e altri incentivi all’occupazione. Solo punta sulla competitività: sul
miglioramento della produttività, del lavoro e del capitale. È da lui che
discendono le cosiddette “riforme strutturali”. E sulla rigidità monetaria.
Due saggi recenti ne danno un quadro
articolato,
Più semplice quello di Peter Bofinger, l’economista
di Wurzburg che è tra i consiglieri economici del governo di Berlino:
Dalla Grande Depressione
Keynes trasse l’insegnamento che una politica attiva della domanda era necessaria.
Eucken non ne tenne conto, nel presupposto che una politica dell’occupazione
conduce a un’economia pianificata. La Depressione, che Keynes imputava – come oggi
si è obbligati a fare – all’instabilità dell’economia
di mercato, Eucken la attribuì a un’insufficiente flessibilità salariale e a un’inadeguata
rigidità monetaria (ordo come
ordinato, rigido): con prezzi e salari flessibili e un apprezzabile ordine monetario
l’instabilità recede e si annulla.
È tutta qui la politica dei
governi tedeschi dopo Kohl, del socialista Schröder e della democristiana
Merkel: rigore di bilancio, stabilità dei prezzi, flessibilità salariale.
È qui il nodo afflittivo
per i partner Ue. Che la Germania della Ordungspolitik
condiziona anche attraverso la Banca centrale europea, quella di Draghi
inclusa.
E un nodo che sembra ora costare caro ai partiti socialista e democristiani
in Germania. La porta aperta all’immigrazione per alimentare la flessibilità salariale,
e lo zero deficit sono più consoni all’ultraliberismo di Alternative für
Deutschland, che ha soppiantato l’inetto partito Liberale – AfD vuole “controllare”
l’immigrazione, l’ordine pubblico legando al’ordine monetario, non bloccarla.
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