Ecumenismo – Era tema già
del Quattrocento – prima che la Riforma introducesse ulteriori divisioni,
dentro la stessa cristianità: Niccolò Cusano dedicò al tema un trattato, “La
pace della fede”, tre anni dopo il giubileo del 1450, che avrebbe dovuto – e non ci riuscì – sancire la riunificazione delle chiese d’Occidente e d’Oriente, a
seguito dei concili di Costanza e Ferrara-Firenze. Da teologo, Cusano vi
sostiene “l’unità delle religioni di tutti i popoli diversi, nel presupposto di
una fede comune al di là della diversità dei riti, delle cerimonie e della
provenienza geografica” – nella sintesi di Graziella Federici Vescovini, che ne
ha curato la traduzione e la riedizione.
Faziosità – Sarà il segno
della politica italiana? Una forma di settarismo e di fanatismo. Nelle logiche
di partito e di corrente dei vecchi partiti, sotto il segno oggi della
trasparenza nel movimento 5 Stelle. Che dell’eguaglianza e del pluralismo si fa
bandiera, mentre persegue ogni minimo scostamento - da una “linea” peraltro indefinita, che si
materializza nel culto del Capo, al coperto di finte consultazioni online, “democratiche”
o “popolari”. La tradizione è per la faziosità estrema, da Dante a Machiavelli,
al Tasso, al Foscolo, di proscrizioni e scomuniche, vendette anche. La storia d’Italia
è in questo unita da molti secoli. Dei Comuni in lite tra di loro e al loro
interno, delle signorie e tra le signorie, degli stessi movimenti ribellistici –
compresi quelli rivoluzionari, giacobini o carbonari, fino al terrorismo
brigatista degli anni 1970-1980: sempre settari. È specialmente la storia della
Repubblica, segnata dapprima dalla guerra fredda, poi dal giustizialismo, una
sorta di alluvione interminabile alimentato dall’invidia e dall’odio.
“È
opinione comune”, scrive sulla “New York Review of Books” l’italianista Tim
Parks, “che una delle più peculiari caratteristiche della vita pubblica
italiana è la faziosità, in tutte le sue varie manifestazioni: regionalismo,
familismo, corporativismo, campanilismo, o semplicemente gruppi di amici che
restano in contatto dall’infanzia alla vecchiaia, spesso sposandosi,
separandosi e risposandosi tra di loro…” Ma con effetti di peso: “Si può dire
che per molti italiani il valore più importante è l’appartenenza, essere il
membro rispettato di un gruppo che essi stessi rispettano. Solo che,
disgraziatamente, questo gruppo raramente corrisponde alla comunità in
generale, e spesso è anzi in feroce conflitto con essa, o con altri gruppi
similari”.
Più
spesso ancora il crudo interesse fa aggio sul sentimento dell’appartenenza.
L’uso
del dialetto, privilegiato, il filologo Parks porta a riprova della faziosità
imprescindibile: si parla di preferenza in dialetto, si fa la tara di chi non
lo parla. Parks ricorda il fastidio di Manzoni, che pure volle riscrivere il
suo romanzo in lingua, e lo ebbe anzi imposto a scuola di italiano, quando doveva
interrompere la conversazione con gli amici milanesi o lombardi perché qualcuno
era arrivato da fuori, da Venezia, Firenze o Napoli, e si doveva passare al
toscano.
Una
conferma si può dire lo stesso divieto di “insulti regionali” che i codici
sportivi ora sanzionano. Divieto “abbastanza assurdo”, dice Parks, ma esso stesso segno
di una coscienza divisa.
Impero – Quello romano
fu riluttante – così come quello americano oggi. Non s’impose e non si allargò
per progetto ma in risposta alle sfide. Dei Galli a più riprese, i Celti, i
Sanniti, i Latini con gli Etruschi, Pirro, Gerone, la Macedonia, Cartagine, i
Celtiberi, i Germani in lite, i Parti a più riprese, la Britannia, la Tracia, la Dacia. L’unica azione
offensiva fu quella di Cesare, che sterminò centinaia di migliaia di Germani
inermi e pacifici, e attaccò senza ragione i Celti. Anche l’impero cristiano fu
difensivo, il Sacro Romano Impero.
È
con gli Stati-Nazione che il dominio del mondo si disegna e s’impone. Da
Colombo in poi, come disegno di civiltà. Nelle Americhe, in Africa, in Asia,
India compresa, e poi la Cina. Con la Francia post-rivoluzionaria e napoleonica
nel primissimo Ottocento, e con la
Germania nel primo Novecento, fin dentro l’Europa, fino ad allora governata dal
trattato di Westfalia, 1648, dell’equilibrio delle potenze.
L’impero
riluttante si faceva però con i saccheggi e le depredazioni, nel fervore della
battaglia e a freddo. Allo stesso modo poi come le guerre coloniali.
L’impero
moderno, per converso, benché aggressivo è stato “contrattualistico”. Da legalizzare in qualche
modo, in ogni sua forma. A partire dalla Raya,
la linea di demarcazione con cui papa Alessandro VI Borgia divise nel 1493, su
loro richiesta, fra i regni di Spagna e del Portogallo il commercio atlantico che
si apriva, e quindi la colonizzazione dell’America – allora la chiesa di Roma
aveva giurisdizione universale.
Islam – È reazionario:
espelle cultura e storia. Lo è diventato, non lo era fino a recente. Non sono
molti anni che numerose capitali islamiche erano centri di arte, soprattutto di
poesia e musica, e di pensiero innovativo, dal Senegal allo stesso Afghanistan,
e all’islam indiano. Il Cairo, Teheran, Damasco, Beirut, perfino il Pakistan oggi
ferocissimo, erano focolari di progetti sociali e politici innovativi e aperti
sul mondo.
La
reazione data dall’avvento del khomeinismo. Che, partito dal progetto di fare
dell’islam un centro di potere moderno, presto lo confinò in un’ortodossia che
trova ancora difficile definire e delimitare – l’ortodossia si vuole definita,
“legale”. Il khomeinismo ha presto provocato la reazione del più vasto mondo
sunnita, che si è voluto concorrente sullo stesso terreno della “purezza” o
radicalizzazione della religione.
Italia - Si lamenta, specie a destra, che l’Italia non ha avuto una
rivoluzione: non Lutero, non la ghigliottina. Ma notava Stendhal, quando arrivò
con Napoleone, che “non c’erano in Italia abusi odiosi, la nobiltà non vi
godeva privilegi eccessivi, non c’erano contrasti clamorosi tra la realtà e
l’opinione pubblica”. Due secoli di storiografia progressista hanno cancellato
questa realtà.
Solo un paese arretrato come la Francia,
sempre secondo Stendhal, poteva dare tante teste alla ghigliottina e a
Napoleone tanta carne da macello. Questa è un’opinione e non un fatto, però di
buona logica. È “Napoleone”, nota Stendhal”, che “ha reso il basso popolo
proprietario, gli ha insegnato l’orgoglio e gli ha tolto il vizio di rubare”,
in Francia.
Lo stesso per la Riforma, si può arguire:
l’Italia non aveva bisogno, per pensare, che un monaco sfidasse Dio, rubandogli
la grazia.
Napoleone - Impose al duca di Parma,
presa Piacenza, il regalo di venti quadri, primo caso nella storia, per il
costituendo museo che la rivoluzione aveva decretato a Parigi, il Louvre. Il
duca offrì due milioni per tenersi almeno il San Girolamo del Correggio - era
già il ducato del formaggio, se non ancora del prosciutto e del pomodoro in
scatola. Bonaparte, secondo Stendhal, fece rispondere: “Dei due milioni presto
non resterebbe niente, mentre un tale capolavoro”, ora attrazione minore del
Louvre, “ornerà Parigi nei secoli, e genererà altri capolavori”. Spiegando d’un
colpo la sua diversità dagli altri generali francesi, benché Stendhal ne
ribadisca nell’occasione “il carattere italiano”.
Roma – Due terzi – tre quarti? –
dello scaffale che la libreria dedica all’antica Roma è di studiosi
anglosassoni, il resto è di francesi, tedeschi, olandesi, finlandesi. Poca roba
è italiana. È anglosassone anche il filone dei best-seller da banco, di Harris
et al.. È americano quello dei film, i peplum
o kolossal. Il rifiuto di Roma fa parte del rifiuto italiano dell’Italia.
astolfo@antiit.eu
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