“Valentine de Saint-Point è una di quelle figure
libere che fece agli inizi del Novecento l’emancipazione femminile e
l’avanguardia artistica, ma di cui la storia cuturale non ha voluto riordare
niente”, esordisce la presentazione. Non meritava? E invece sì. Nata nel 1875,
pronipote di Lamartine, bella donna, viso modesto e fisico aggressivo, avida di
esperienze, è la prima teorica e pratica dell’emancipazione femminile e
dell’avanguardia artistica insieme, critica e concorrente del misogino
Marinetti in fatto di futurismo. Tutto in lei è speciale: la “donna nuova” che
Apollinaire delineava, l’epitome di può dire del primo Novecento, femminista,
futurista.
La vita. È la “donna nuova” che chiedeva Apolinaire.
Nata aristocratica, orfana di padre presto, si sposa a diciotto anni per uscire
di casa, con un anziano professore che dopo quattro anni ha “la buona idea” di
morire. Valentine allora, nata Anna Jeanne Valentine Marianne Desglans de
Cessiat-Vercell (Vercell era il padre, i due “de” sono materni), prende il nome
d’arte dal castello che il bisnonno Lamartine ha abitato, e dopo i canonici
trecento giorni di vedovaggio sposa un collega del defunto,
Charles Dumont. Che indirizza alla carriera politica – Dumont sarà presto deputato,
più volte, e negli anni 1930 ministro sei volte. Mentre lei si dà all’arte:
posa per Mucha e Rodin, di cui diventa quasi una manager, dipinge lei stessa,
apprezzata da Apollinaire al Salon des Indépendants, scrive e pubblica poesie e
romanzi di tono antibovarysta, per la liberazione del desiderio nella donna, pratica
il teatro e la danza, che vuole rinnovare, e dopo altri quattro anni accetta il
divorzio per colpa – non va nemmeno all’udienza. Tanto più che è già legata in
“unione libera” con Ricciotto Canudo, già orientalista a Firenze e teosofo a
Roma, a Parigi teorico del “cerebralismo”, e poi del cinema come “settima
arte”, oltre che editore, poeta e romanziere - il tipo del “se Parigi c’avesse
lu mèri, sarebbe una picola Bèri”. La storia finirà dopo la guerra, da cui
Canudo tornerà ferito, come Apollinaire, e come lui dopo qualche anno ne
morirà, nel 1923, non prima però di essersi legato a una professoressa di francese,
con la quale ha fatto una figlia e ha “regolarizzato la posizione”. Ma Valentine
ha già cambiato scena: il desiderio ha lasciato posto allo spiritualismo. Crocerossina
in guerra ne esce sopraffatta, e in licenza in Marocco si converte all’islam. Dopo
la morte della madre e di Canudo decide di cambiare un’altra volta vita, e
s’installa al Cairo, dove passerà i trent’anni fino alla morte nel 1953. Dapprima
agitatrice politica, del nazionalismo arabo anti-occidentale, per questo proscritta dall’ambasciata francese
in Egitto. Poi, dopo l’incontro con Guénon, altro convertito, immersa nell’esoterismo..
L’arte. Poesie e romanzi non hanno lasciato il
segno, ma sì la loro “materia”: la de-bovaryzzazione della donna, la
liberazione femminile e femminista attraverso la diversità, attraverso il
desiderio. Poligraga prolifica (Giovanni Lista nella biobibliografia che le
dedica, nei suoi vasti repertori del futurismo, elenca non meno di una
cinquantina di opere a stampa - compresa una lezione universitaria, “La Femme
dans la littérature italienne”), e attivista, sui giornali, con gli spettacoli,
in giro per l’Europa e gli Usa, nelle università. Fu teorica e pratica della
“metacoria”, il processo innovativo alla radice della danza moderna, con un
rilievo non preponderante della musica – non più il balletto per musica. Coi
veli e senza. In polemica con le star del momento, Loīe Fuller e Isadora Duncan
al decino, Ida Rubinstein in ascesa, giunse fino al Metropolitan di New York –
dove fu intervista da Djuna Barnes. Con l’obiettivo, anticipato nel “Teatro della
donna”, una conferenza che tenne all’università popolare prigina “La
Coopération des Idées” a fine 1912, di “elevare la danza al rango di arte
moderna”. Un’arte che “non è soltanto il ritmo plastico sensualmente umano della
musica, ma la danza creata, diretta cerebralmente, la danza che esprime un’idea, fissata nelle sue linee
severe come la musica lo è nel numero del contrappunto” - ben nota per questo a
Mario Verdone, “Drammaturgia e arte totale”. Se non ha fatto la storia del
Novecento, ne è il paradigma.
“L’umanità è mediocre” è il suo “Manifesto della
donna futurista”. Che in esergo si rifà a Marinetti: “Noi vogliamo glorificare la
guerra, la sola igiene del mondo, il militarismo, il patriottismo, il gesto
distruttore degli anarchici, le belle idee che uccidono e il disprezzo della
donna”. Quindi in opposizione a Marinetti – in teoria - su questo punto: Valentine
ha buon gioco a rifarsi su Marinetti.e non ha bisogno di molte pagine. La brochure si assortisce di due appelli
alla lussuria, e dei progetti di Teatro della Donna e di Metacoria, dottrinali
e pratici.
In realtà, il manifesto femminista è combinato con
Marinetti, spiega Lista nel suo ultimo denso repertorio, “Qu’est-ce que le
futurisme?”. È Marinetti che pubblica il “Manifesto”, in contemporanea a Parigi
e a Milano, il 25 marzo 1912, così come poi, a gennaio del 1913, il “Manifesto futurista
della lussuria”. Dopo aver presieduto qualche giorno prima, l’8 marzo 2012, al
debuto di Valentine poeta futurista alla
Casa dello studente a Parigi, con la conferenza “La femme et les lettres”,
“confidandole molto probabilmente il ruolo di portabandiera dell’ «azione
femminle» del movimento futurista”. Il “Manifesto” di Valentine è pronto in
piochi giorni: “Proseguendo la sua strategia di comunicazione, Marinetti dà al
manifesto il sottotiolo «Risposta a F.T.Marinetti» e pone lui stesso in esergo
la sua frase ormai celebre sul «disprezzo della donna»””. Un disprezzo che egli
stesso ha già corretto con l’opuscolo “Contro l’amore e il parlamentarismo” e nella
sua rivista “Poesia”, con un “D’Annunzio futurista e il «disprezzo della donna»”. Questo specificando mirato al sentimentalismo e l’idealismo in cui la
letteratura avvolge la donna, e il leitmotiv tirannico dell’amore e
dell’adulterio nelle lettere latine.
Valentine sta al gioco prendendo a partito
Marinetti. Non vuole “spazi” né “diritti” ma libero sfogo alle energie. Sull’esempio
di Caterina Sforza, le donne vuole “bestialmente amorose, che, dal Desiderio,
consumano fino alla forza di rinnovarsi” – come nel romanzo di un paio d’anni
prima che aveva titolato “Une femme e le désir”, una donna e il desiderio..
Jean-Paul Morel, che Valentine de Saint-Point ha
esumato in questa brochure, la vuole
“non futurista”, ma una che “si serve del metodo marinettiano per far passare
le sue idee”. Quello che sarà il femminismo identitario: anche la differenza può
dirsi femminista, l’orgoglio. Lista la mostra invece organica al movimento. Che
però pone non nella lettera, ma nel rivolgimento del conformismo che si
proponeva.
Valentine
de Saint-Point, Manifeste de la femme
futuriste, Mille-et-une-nuits, pp. 77 € 3
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