La felicità
del racconto. In tutte le chiavi: horror, porno, criminale, pìcaro, avventuroso,
sociale, e naturalmente sentimentale. Di Fulvio le possiede tutte, pur
iscrivendosi in quest’aultima. Con gusto, con misura. Quella del feueilleton, genere ingrato in italiano,
che Di Flvio padroneggia – Dumas l’avrebbe invidiato: un racconto breve s’innesta
sul precedente, in una sorta di caleidoscopio sempre vivo e in tema, racconti
brevi, il lettore non sfugge, è incatenato, viene l’abiezione dopo il
romantico, il comico dopo il drammatico, attraente, divertente. Con un po’ di
Frank Sinatra, protetto dalla mafia, un po’ di Leone, “C’era una volta l’America”,
un po’ “Il silenzio degli innocenti”, e il Bernstein di “West Side Story” in Fred Astaire dal vivo, mentre la
radio esplodeva, e Hollywood provava il sonoro. In parallelo con “Martin Eden”,
l’amore tragico dei morti di fame, e “Zanna bianca”. Ma non sono citazioni, non
è un romanzo postmoderno: Di Fulvio si spìnge fino a scopiazzare, ma fa tutto
roba sua, che alla lettura trascina.
Perfino
l’ambientazione “globale”, di maniera, che le scuole di scrittura impongono si
vivifica: New York è credibile. Lo storione è del sogno americano che si
critica, che in realtà trionfa. Anche la New York intessuta di mafie è anni
luce dal tutto amfia che ci opprime – non ci sono giudici per fortuna e solo
qualche poliziotto sbandato. Molto più che “una storia d’amore e di gangster” come
lì’auore la sintetizza - “ci sono i gangster e c’è l’amore”, può congratuarsi l’impresario
che porterà la storia in teatro, ma ci sono moltissime altre cose. .
Luca di
Fulvio, La gang dei sogni, Oscar,
pp.573 € 11,50
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