sabato 3 settembre 2016

L'Ecofabulatore, della letteratura

Eco fa il professore di se stesso. Con la consueta verve – e con un po’ di furbizia: è stato come rieditare nel 1983 il già milionario “Nome della rosa”.
Un’autocelebrazione anche – non si direbbe, ma Eco si amava: “Un autore non deve fornre interpretazioni della propria opera, altrimenti non avrebbe scritto un romanzo, che è una macchina per generare interpretazioni”. Ma. A partire dal titolo, “un titolo è purtropo già una chiave iterpretativa”, giù titoli e spiegazioni, “Adso da Melk”, “Abbazia del delitto”, etc. Ma una lezione amabile, un’ora?, per 45 pagine: la preterizione, il respiro, “chi parla”, il romanzo “come fatto cosmologco”, e “come raccontare ilpassato”: il romance, il romanzo di cappa e spada, il romanzo storico. E lo storico-sperimentale naturamente, quello suo: Eco era reduce del Gruppo 63, in realtà ’68, del postmoderno citazionista, con l’ironia, al fine ineluttabile dell’“avanguardia”. Il romance,  per ora (per allora) è tutto: il passato e l’avvenire - “molta f antasciena è romance”: basta che la storia “non si svolga ora e qui, e dell’ora e del qui non parli”.
In realtà non una lezione, non s’impara nulla, se non le nozioni eventualmente ignote: non un metodo di scrittura e nememno una traccia. Ma un altro Eco, un fabulatore della letteratura. 
Umberto Eco, Postilla a “Il nome della rosa”

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