Gloria – “La gloria non
dipende dallo sforzo, che è generalmente invisibile: dipende solo dalla
messinscena”, Paul Valéry, “Ispirazioni mediterranee”. Necessita una messinscena,
già a partire d Omero: il racconto eroico è in crescendo, costruito.
Io – È in effetti un mezzo comodo per narrare - e non
perché lo vuole Stendhal. Anche se la terza persona, bisogna dire, protegge. Ma
è pure vero che il punto di vista è la cosa di cui meno frega al
lettore. E all’imputato, ma questo sbaglia.
Il grande egotista Stendhal era scultore, oltre che pittore e musicista, da dilettante. Mentre era
cieco all’architettura: la geometria sta a sé, irriducibile al soggetto, all’affabulazione..
Liberazione sessuale – È la
stessa da cento anni, omosessualità e multigender compresi. Dal futurismo, da
“Lacerba”, da Italo Tavolato che su “Lacerba” pubblicava una “Glossa” al
“Manifesto futurista della lussuria” e un “Elogio della prostituzione, e per le
edizioni Lacerba il pamphlet “Contro
la morale sessuale”. Tutto nel 1913. Per avocare la libertà sessuale e anche
omosessuale: “La parte programmatica del manifesto”, scriveva nella “Glossa”,
“si può riassumere in un’unica proposizione: Cessiamo di schernire il desiderio. La richiesta sembra umile. Ma
non è così. Per tutti i suggestionati di morale cristiana il desiderio carnale
è un peccato che si deve temere e odiare”, etc.. Mentre “il desiderio sessuale
è di natura tanto molteplice e varia, che in pochi casi tende alla
procreazione”. E ancora: “La macerazione della carne porta al sacrificio dell’intelletto,
all’infiltrazione della libidine nello spirito, alla pansessualità” – “all’esasperazione
erotica”. Fino a un conclusivo “Credo immoralista”: “Io credo…. Abbia l’uomo il
diritto di amare chi vuole e come vuole; e credo, credo, credo che una sentina
di vizi valga cento chiese e mille redazioni, credo che il coito sia azione
intellettualmente e moralmente superiore alla creazione di una nuova etica…”.
Il
futurismo peraltro, di cui Tavolato sarà tardo adepto, accettava l’omosessualità,
in modo discreto con Palazzeschi e Guido Keller, polemico con Ernesto
Michaelles “Thayat”, arista e gallerista (la “Casa Gialla” presso Firtenze,
gestita col fratello Ruggero), il futurista degli oggetti d’arte e della moda.
Tavolato,
che sarà personaggio ambiguo nel mondo letterario, sotto ricatto durante il fascismo
e quindi spia di regime, per questo - e per il processo che gli fu intentato
nel 1913 per gli articoli su “Lacerba” - soggetto del romanzo di Vassalli “L’alcova
elettrica”, 1985, ventidue anni dopo la sua morte, era triestino di nascita e
caprese di adozione, personaggio all’incrocio di più culture, e soprattutto di
quella tedesca, con punti di contato con Wilhelm Reich.
Valentine
de Saint-Point, che in opposizione - concordata - con Marinetti lanciava nel
1912 il “Manifesto della donna futurista” assortito da un “Manifesto della lussuria”,
o del desiderio infine libero, tre rapporti matrimoniali all’attivo, incontrava
nel 1917 a New York una simpatetica Djuna Barnes, che presiedeva all’omosessualità.
Plagio – Non se
ne discute più, forse a ragione. È reato a difesa del diritto d’autore, ma il
diritto d’autore è materia irta, e ambigua. È sempre stato un fatto. In musica
più che in letteratura. Non si contano, diceva il regista Lucio
Fulci, le scene di “Ossessione” che Visconti ha estratto dai film di Renoir,
quasi un’esercitazione scolastica. O le scene della “Dolce Vita” tratte da
“Vacanze romane” che è un film d’evasione
ma di William Wyler.
Roma
–
Recensendo “Dido & Aeneas” di Purcell all’Opera di Roma, Franco Cordelli se
la prende con Enea, “ipocrita e detestabile” – in “Dido” più che nel libro IV
dell’ “Eneide” di Virgilio: “Noi, cinici spettatori contemporanei, non gli crediamo”,
spiega, noi piuttosto “crediamo che la civiltà sia fondata … sulla violenza”.
La civiltà? No, Roma, l’impero romano: l’odio-di-sé è diffuso.
Sole
–
È molto trascurato come tema letterario. Come luce è di uso comune, specie
nelal poesia, come illuminazione, ma non in
sé. “Il sole” che “introduce l’idea di onnipotenza eccelsa, l’idea
d’ordine e d’unità generale della natura”, come lo vede Valéry – che però poco lui
stesso ne poeta.
Stendhal - Parlava
sempre di donne, e di molte scrisse. Ma nessuna memorabile, che gli annali
celebrino, nessuna delle donne reali. E nessuna che lo ricordi, in memorie,
lettere, pettegolezzi. Una volta confessò una passione per un uomo, un
ufficiale russo, giovane, che ebbe vicino a teatro. Babilano del resto è
impotente – l’aggettivo italiano, o quantomeno milanese, che spiega ai suoi
amici francesi nelle lettere (“babilano” da san Babila, il luogo o il santo?).
Tale era ritenuto Stendhal dagli amici parigini, tutti mediocri.
Se fosse
un personaggio dei suoi romanzi sarebbe un gauche, maldestro e pure
antipatico. Non amabile, nessuna storia lo vedrebbe attore, benché pieno di sé.
“Nulla di più facile dello stile appassionato o di carattere”, diceva: “Nel
primo devi fingere di desiderare, e nel secondo di credere certe cose”. Se ne
intendeva, san Carlo Borromeo è il suo santo, che quando decise di
santificarsi, era ancora ragazzo, si fece derivare da Buon Romeo e tale si
firmava. Era insensibile alla pietra. I colori voleva soffici, le voci
melodiose, le donne grandi. Non era curioso, si vede a Napoli – ammesso che ci
sia stato: non si avvicinava, uno scrittore deve stare a distanza, è lo
stratega.
Andava
a teatro e rimaneva fino alla fine, opere insulse vedendo più volte, di cui
trattava con gli amici e nel diario. Ma uscì al secondo atto di “Romeo e
Giulietta”. E “Amleto” bollò “una sciocca commedia”: “Amleto è, scusate il
termine, un coglione” – Stendhal scriveva il diario perché fosse letto. Poi
dichiarerà sua Bibbia le pagine 23 e 26 di “Amleto”. Di quale edizione? Il
carattere degli amati italiani trovava malinconico: “Le loro idee sulla
felicità nascono in corpi biliosi, sovente con costipazione intestinale”.
Nonché la lingua, che parlava e scrisse.
“Una società molto nobile che non ha più passioni, eccetto la vanità, giunge a
voler desiderare di non servirsi che di parole che non sono in uso ai bottegai
e agli articoli in commercio. Purtroppo i bottegai, imitando il vaudeville
e i giornali, arrivano ad avere un’idea di questo stile nobile, e lo copiano.
La buona società s’affretta a cambiare le sue parole”, e così via, guasta è la
radice dell’italiano: “Da qui, mi sembra, la decadenza della lingua, quando
essa arriva non dalla conquista, ma dall’estrema civilizzazione”. Essa chi? Il
console aveva le idee confuse. E sono i bottegai più stupidi dei nobili?
Tipo donna – Valentine
de Saint-Point lo vuole “materno”. L’autrice del “Manifesto della donna
futurista”, 1912, e del “Manifesto della lussuria”, 1913, esamina in “Le
Théâtre de la femme”, una conferenza natalizia per un’università popolare parigina,
gli scrittoi più femministi, Maeterlinck, D’Annunzio, Ibsen a suo modo, che
apprezza ma ritiene mancanti, e conclude: “Ma”, obietta, “la donna integrale, la donna complessa, tale e quale è veramente, tale e quale si
complicherà ogni giorno di più: istintiva, intuitiva, insinuante, furba,
volontaria – di una volontà femminile, più paziente che brutale -, sensibile –
di una sensibilità insieme più sveglia e
più sana di quella dell’uomo -, coraggiosa – di un coraggio lento e durevole, è
sopratutto, e al di là di tutto, materna”.
letterautore@antiit.eu
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