L’Europa
non cresce, nella demografia come nell’economia. La crescita della popolazione
Ue, Gran Bretagna compresa, è stata dello 0,33 per cento l’anno nel primo
decennio del millennio, e di una percentuale più che dimezzata, lo 0,15, nel
quinquennio successivo. Con un saldo negativo per la Germania, di 2,1 milioni
di abitanti nel quindicennio, da 82,8 milioni nel 2000 a 80,7. Positivo per l’Italia,
di 3,7 milioni, da 57 milioni a fine 2000 a 60,7 a fine 2015 – ma al censimento
del 2011 poco meno di 1,3 milioni di residenti non si sono registrati,
immigrati di prima generazione. Doppiamente positivo per la Francia e la Gran
Bretagna, da 61 a 67,2 , e da 59 a 64 milioni, rispettivamente, nel
quindicennio.
Per la Gran Bretagna ora, con l’uscita dalla Ue, la crescita potrebbe sgonfiarsi: la maggior
parte dell’immigrazione recente in Gran
Bretagna viene da altri paesi Ue e dagli Usa. Nei vent’anni dopo il 1995 gli immigrati
euro-americani si sono quasi quadruplicati, da 900 mila a 3,3 milioni. Quasi
tutti in età lavorativa – gli altri sono titolari d’impresa o di rendite, per i
quali Londra è un paradiso fiscale.
In
demografia è sempre inverno per l’Europa. Non è gelata per la presenza di una
fetta sempre più larga di popolazione immigrata, che è quella che sostiene il
(poco) sviluppo demografico. Una quota che era già, a fine 2015, il 6,3 per
cento dell’intera popolazione (immigrati di seconda generazione, quindi stabilizzati,
nati nei paesi europei di residenza). Con punte dell’8,3 per cento nei sei
paesi fondatori dell’Unione Europea più la Gran Bretagna. E del 7,5 per cento nei
paesi del Nord Europa (i quattro scandinavi, più l’Irlanda). – al Sud e all’Est
Europa la quota scende attorno al 2,5 per cento.
Per
l’Italia il contributo demografico dell’immigrazione potrebbe non bastare più
ad arrestare il declino demografico: il 2014 ha segnato un record negativo
delle nascite dall’unità d’Italia, e il 2015 lo ha peggiorato, con soli 488
mila parti. La tendenza alla contrazione è in atto da un trentennio, è cioè
alla seconda generazione, e quindi il trend negativo è da ritenersi consolidato:
il declino è una spirale, meno nascite ieri riducono la fertilità oggi.
La
Francia ha messo fine a un secolo e mezzo di declino demografico negli anni
1970 con una politica di forte incentivo alla natalità – gli assegni per tre
figli sono il corrispondente di una retribuzione “femminile”. Ma anche la Francia
ha circa sette milioni di immigrati.
In
dettaglio, paese per paese, la presenza della popolazione immigrata pesa a fine
2015 per queste percentuali. Tenendo presente che i primi tre Paesi, e l’Irlanda (in parte anche Londra),
registrano molte residenze di comodo ai fini fiscali. E che in Francia, dove l’incidenza della popolazione immigrata è certamente superiore a quella dell’Italia, risulta ridotta per una politica della cittadinanza più generosa che in Italia,
specie per chi è nato in Francia:
Lussemburgo 45,9 per cento
Svizzera 24,2
Cipro 17,1
Austria 13,2
Irlanda 11,9
Belgio 11,6
Spagna 9,6
Germania 9,3
Gran
Bretagna 8,4
Italia 8,2
……….
Francia 6,6
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