giovedì 8 settembre 2016

L’inverno demografico

L’Europa non cresce, nella demografia come nell’economia. La crescita della popolazione Ue, Gran Bretagna compresa, è stata dello 0,33 per cento l’anno nel primo decennio del millennio, e di una percentuale più che dimezzata, lo 0,15, nel quinquennio successivo. Con un saldo negativo per la Germania, di 2,1 milioni di abitanti nel quindicennio, da 82,8 milioni nel 2000 a 80,7. Positivo per l’Italia, di 3,7 milioni, da 57 milioni a fine 2000 a 60,7 a fine 2015 – ma al censimento del 2011 poco meno di 1,3 milioni di residenti non si sono registrati, immigrati di prima generazione. Doppiamente positivo per la Francia e la Gran Bretagna, da 61 a 67,2 , e da 59 a 64 milioni, rispettivamente, nel quindicennio.
Per la Gran Bretagna ora, con l’uscita dalla Ue, la crescita potrebbe sgonfiarsi: la maggior parte dell’immigrazione recente in Gran Bretagna viene da altri paesi Ue e dagli Usa. Nei vent’anni dopo il 1995 gli immigrati euro-americani si sono quasi quadruplicati, da 900 mila a 3,3 milioni. Quasi tutti in età lavorativa – gli altri sono titolari d’impresa o di rendite, per i quali Londra è un paradiso fiscale. 
In demografia è sempre inverno per l’Europa. Non è gelata per la presenza di una fetta sempre più larga di popolazione immigrata, che è quella che sostiene il (poco) sviluppo demografico. Una quota che era già, a fine 2015, il 6,3 per cento dell’intera popolazione (immigrati di seconda generazione, quindi stabilizzati, nati nei paesi europei di residenza). Con punte dell’8,3 per cento nei sei paesi fondatori dell’Unione Europea più la Gran Bretagna. E del 7,5 per cento nei paesi del Nord Europa (i quattro scandinavi, più l’Irlanda). – al Sud e all’Est Europa la quota scende attorno al 2,5 per cento.
Per l’Italia il contributo demografico dell’immigrazione potrebbe non bastare più ad arrestare il declino demografico: il 2014 ha segnato un record negativo delle nascite dall’unità d’Italia, e il 2015 lo ha peggiorato, con soli 488 mila parti. La tendenza alla contrazione è in atto da un trentennio, è cioè alla seconda generazione, e quindi il trend negativo è da ritenersi consolidato: il declino è una spirale, meno nascite ieri riducono la fertilità oggi.
La Francia ha messo fine a un secolo e mezzo di declino demografico negli anni 1970 con una politica di forte incentivo alla natalità – gli assegni per tre figli sono il corrispondente di una retribuzione “femminile”. Ma anche la Francia ha circa sette milioni di immigrati.
In dettaglio, paese per paese, la presenza della popolazione immigrata pesa a fine 2015 per queste percentuali. Tenendo presente che i primi tre Paesi, e l’Irlanda (in parte anche Londra), registrano molte residenze di comodo ai fini fiscali. E che in Francia, dove l’incidenza della popolazione immigrata è certamente superiore a quella dell’Italia, risulta ridotta per una politica della cittadinanza più generosa che in Italia, specie per chi è nato in Francia:
Lussemburgo  45,9 per cento
Svizzera          24,2
Cipro              17,1
Austria            13,2
Irlanda            11,9
Belgio             11,6
Spagna             9,6
Germania          9,3
Gran Bretagna  8,4
Italia                 8,2
 ……….
Francia             6,6

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