Racconti
da ridere in cui non si ride. Nemmeno si sorride, né si irride. Racconti malinonici,
anzi: Il ragazzino cattivo”, “Il ragazzino buono”, il lunghissimo “Gita di
piacere”. Il cattivo prospera, il buono non prospera, la vacanza – l’idea di vacanza
- è noiosissima.
Mark
Twain è famoso per le battute: nemmeno una qui. Sì, a Bermuda, dove un signore
americano decide di prendersi infine una vacanza, ma si esaurisce nella cipolla: l’isola di “un milione di gatti” tutto esaurisce nella cipolla,
a Bermuda la cipolla è tutto. E nei “discorsi da treno”, che si fanno anche sulle navi - ricordi della vita monotona da pilota di battello sul Mississippi che Mark Twain fece nella prima incarnazione.
Si
può sempre argomentare che l’umorismo resta insondabile. Ma la verità è che Twain
non è Twain in questi primi racconti, da lui labellati umoristici. Lui è l’autore
di solide malinconie, “Huckleberry Finn” e “Tom Sawyer”, le battute non contano. E che l’“autore umoristico” per definizione non può far ridere: la risata non è un genere codificabile.
Mark Twain, Tre racconti umoristici, Il sole 24 Ore, pp. 79 € 0,50
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