domenica 11 settembre 2016

Obama distante dal M. Oriente – o gli Usa

Celebrazione fredda dell’11 settembre. Come se Obama avesse abbandonato il Medio Oriente, o gli Stati Uniti. Che ne sono stati e sono la potenza condizionante.
Obama non ha chiuso i due conflitti, in Afghanistan e in Irak, come aveva promesso, e ne ha aperti altri due, in Libia e in Siria. Non ha distrutto Al Qaeda, malgrado la morte di Osama bin Laden, e non ha bloccato e non sconfigge l’Is, benché sia indifendibile presso le stesse masse arabe, a differenza della formazione di bin Laden. Non ha praticamente rapporti con Israele. È insoddisfatto e distante sia dalla dinastia saudita, che ha fomentato il fondamentalismo sunnita, sia dal regime egiziano di Al Sisi, che della Fratellanza mussulmana filosaudita è il giustiziere.
Tutto lascia supporre che la gestione disattenta e controproducente del Medio Oriente sia dovuto a Obama. Sulla questione palestinese era partito dalle posizioni arabe. Vicino a Chicago agli intellettuali palestinesi, Edward Said, Alì Abunimah, il cofondatore dell’Intifada Elettronica, fautora di uno Stato Unito israelo-palestinese, dello storico Rashid Khalidi. Aveva esordito alla presidenza chiamando tra i primi il presidente palestinese Mahmud Abbas – con sorpresa di quest’ultimo. Il giorno dopo nominando un Inviato Speciale per la Pace nel Medio Oriente, il senatore George Mitchell, autore di un rapporto che chiedeva il congelamento immediato delle nuove colonie israeliane in Cisgiordania e a Gerusalemme. Quattro mesi dopo, nel corso della visita a Washington di Abbas, Obama ne f ce una proposta ufficiale. Subito dopo partì in vista nel Medio Oriente, ma evitò Israele, e al Cairo in un grande discorso disse. “La situazione per il popolo palestinese è intollerabile”. Ma al ritorno si adoperò per fare accettare ai palestinesi i nuovi insediamenti israeliani. Senza per questo riprendere i rapporti col governo di Israele.
Obama non è però per questo sotto critica negli Usa: c’è come un consenso su un disimpegno.

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