“La vecchiaia è come l’esotismo: gli
altri visti da lontano con gli occhi dell’ignorante. La vecchiaia non esiste”.
L’antropologo non si risparmia alla fine la bacchettata del maestro. Ma non è
così semplice come – convinto? – mostra di credere. La sua fine del resto non è
una consolazione: “Che ce ne si rallegri o che lo si deplori – questa constatazione
ha un lato crudele – bisogna ben ammetterlo: tutti muoiono giovani”.
L’indagine sul campo di Augé comincia e
finisce con le vite dei gatti, che l’antropologo ha avuto modo di asseverare da
ragazzo, e poi ripetutamete. Delle gatte: “Ognuna di esse ricominciava ogni
volta la stessa avventura: le birichinate dei primi mesi, i privilegi della maturità,
lo stesso progressivo affievolirsi delle forze e, sempre, la stessa serenità”.
Ma, lui per primo lo sa bene, a differenza dei gatti, “il problema degli esseri
umani” è che “hanno bisogno degli altri per vivere appieno”. E allora
invecchiare è anche questo: “sperimentare nuobvi rapporti umani”. Un privilegio?
È dubbio.
L’età è anche l’epoca dei ripensamenti –
dei riesami. Delle porte girevoli: se avessi fatto, se avessi detto, se fossi
stato, se avessi potuto, se non avessi. Nel lavoro, negli umori, nelle
passioni, gli alberi che abbiamo piantato, o non abbiamo, la casa che abbiamo
costruito, e l’altalena incessante degli affetti. Tutto vero, ognuno lo vede
nel quotidiano, ma l’inventore dei “non-luoghi” non sembra avere scoperto l’età,
o sennò di malavoglia.
Il grosso della trattazione è ananke, modo di essere, più o meno
soddisfacente – in mezzo alla rivisitazione dei classici in argomento, che Augé
privilegia, da Cicerone a Rousseau e Leiris, passando per Baudelaire, Benjamin,
Zweig, Mauriac e Beauvoir: le malattie o il salutismo, le forze declinanti o le
nuove energie, il pensionamento, la solitudine, la famiglia. Una raccolta
umorale, rapsodica, non di ricerca. Se non per il saggio iniziale, dell’età ora
sottoposta a giudizio, inteso come condanna, da parte del giovanilismo. Che al
meglio la confina nell’inutilità, coi fervidi “Nonnino! Nonnina”. Rovesciando
il veccchio cliché.
È così. Ma questo per la verità non da
ora: dal Sessantotto. I cui protagonisti – i rovesciatori - sono ora i “nonnini”.
Anche se, è giusto notarlo, il declivo si è irrigidito per l’allungamento dell’aspettativa
di vita, in mezzo secolo molto cresciuta: “L’età avanzata è divenuta banale e
ha perso la sua caratteristica di eccezionalità”. Non c’è più virtù nella
vecchiaia, l’allungamento della vita l’ha resa anzi un epso. L’ha relegata,
nota Augé, in “una sorta di casa di riposo semantica” – più spesso, va aggiunto,
a opera dei più benevolenti, familiari, autorità.
Col tempo ci giochiamo, con l’età no,
così Augé entra in argomento: “Il tempo è una libertà, l’età un vincolo” – è “la
spunta minuziosa dei gironi che passano”. Ma no, esiste la dépense anche in età, il mancato calcolo, l’avventura, l’inizio. E
la giovinezza non è quella degli anni. Che sola si rimpiange, secondo prassi. È
invece la voglia di vivere. Che è effetto dell’esperienza di libertà, e
dell’immaginazione. Per i Greci un tempo fuori del tempo, il kàiros che tutto tiene sospeso e quindi
psosibile. È il coraggio, e l’avventura, dello spirito, se non delle gambe o
del corpo - è non adagiarsi.
Marc Augé, La vecchiaia non esiste, Raffaello
Cortina, pp. 104 € 11
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